giovedì 12 novembre 2015

Interpello 26/2015 sportivi settore calcistico

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con risposta ad interpello n. 26 del 05 novembre 2015, chiarisce l’irrilevanza della rinuncia alla retribuzione da parte degli sportivi professionisti, ai fini della sussistenza dell’obbligo contributivo dei datori di lavoro.
L’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro (ANCL) ha avanzato una istanza di interpello in ordine alla ipotesi in cui, in ambito sportivo professionistico, calciatori e tecnici rinuncino a stipendi già maturati e non ancora corrisposti per svincolarsi in tempi rapidi dalla società e trovare ingaggio altrove, al fine di conoscere:
  • se i suddetti atti abdicativi, stipulati in sede sindacale, possano avere ad oggetto anche i contributi previdenziali e assistenziali che risultano dovuti sulla base della retribuzione maturata e non ancora corrisposta;
  • se, nell’ipotesi negativa, la contribuzione debba essere calcolata sulle mensilità di stipendio che il lavoratore avrebbe diritto di percepire per contratto oppure sui minimali di legge;
  • quali siano in tali fattispecie le modalità di compilazione del LUL, tenuto conto che il lavoratore non percepisce le retribuzioni maturate per una o più mensilità.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali muove dall’analisi della Legge n. 91/1981, recante norme in materia di rapporti di lavoro tra società e sportivi professionisti, ricomprendendo tale categoria le figure degli atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI. I rapporti di lavoro ivi disciplinati sono esclusivamente quelli appartenenti alla tipologia del lavoro subordinato, forma contrattuale tipica per l’assunzione dell’atleta professionista, in quanto nei confronti di quest’ultimo il contratto di lavoro autonomo risulta configurabile solo laddove ricorrano specifici presupposti, quali, ad esempio, l’assenza di vincolo contrattuale circa la frequenza a sedute di preparazione e allenamento, prestazioni non superiori alle 8 ore settimanali, rese nell’ambito di 5 giorni ogni mese o 30 giorni ogni anno. I suddetti rapporti di lavoro subordinato comportano l’obbligo dello sportivo professionista di espletare la propria attività alle dipendenze e sotto la direzione della società, in cambio di una retribuzione concordata in sede di stipulazione del contratto di ingaggio per ogni singolo anno di durata e corrisposto dalla società allo sportivo in 12 rate mensili. La retribuzione annua lorda assorbe ogni altro emolumento (straordinari, trasferte, gare notturne) e non può essere inferiore al cd. "minimo federale", determinato per ogni singola serie professionistica con separato accordo collettivo tra le parti, ovvero tra ciascuna delle Leghe professionistiche e l’Associazione Italiana Calciatori. Per quanto riguarda, invece, l’assolvimento degli obblighi contributivi, oltre a quelli concernenti l’assicurazione contro invalidità, vecchiaia e superstiti, nonché a quella per le malattie, le società sportive sono tenute a versare un ulteriore contributo al Fondo di accantonamento dell’indennità di fine carriera, calcolato sullo stipendio annuo lordo del calciatore.

Ciò premesso, in primis si richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale, in virtù del quale il lavoratore non può disporre dei profili contributivi che l’ordinamento collega al rapporto di lavoro, tenuto conto che l’obbligazione previdenziale insorge esclusivamente tra datore di lavoro, soggetto obbligato, ed Istituto, titolare della posizione attiva creditoria. Il lavoratore, rispetto all’obbligazione in esame risulta "terzo" ed esclusivamente beneficiario della prestazione, sicchè l’obbligo contributivo del datore di lavoro è comunque sussistente indipendentemente dalla circostanza che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del lavoratore, ovvero che quest’ultimo abbia rinunciato ai suoi diritti. Oltretutto, il codice civile (art. 2115, co. 3) dispone la nullità dei patti diretti ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all’assistenza, sancendo in tal modo la regola della non negoziabilità dei diritti previdenziali, neanche qualora prescritti.

Per quanto concerne la questione relativa alle modalità di compilazione del Libro Unico del Lavoro, considerata la necessità di riportare sul LUL "la quantificazione della durata della prestazione o la retribuzione effettivamente erogata", nel caso in cui si proceda a conciliazione e in tale sede il lavoratore rinunci alla corresponsione di importi retributivi, gli stessi non andranno indicati sul LUL.

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