mercoledì 25 novembre 2015


Il professionista che non verifica la clientela commette reato


 
Il professionista che non identifica il cliente e il beneficiario effettivo della sua prestazione, e che non verifica lo scopo e la natura del rapporto in tutta la sua durata commette reato. A stabilirlo è la sentenza n. 46415 del 23 novembre 2015 della Corte di Cassazione, anticipata da Italia Oggi nell'edizione del 24 novembre 2015.

L'illecito penale è previsto dal decreto legislativo 231/07 sulle norme antiriciclaggio, che impone obblighi severi a professionisti ed intermediari finanziari e pene pecuniarie in caso di inosservanza. Per i giudici della Corte suprema, quindi, basta il semplice "dolo", ovvero la volontà di contravvenire alle prescrizioni in materia di verifica della clientela per compiere reato.

venerdì 20 novembre 2015


RIFLESSIONI  E PENSIERI:

Prescrizione e riscossione dell’imposta sulla televisione: per quanto tempo e come possono essere richiesti gli arretrati.

 La recente riforma del Canone Rai, che entrerà in vigore con la legge di Stabilità 2016 e che prevede la riscossione dell’imposta sulla TV direttamente con il pagamento della bolletta della luce ha posto di fronte gli utenti al consueto problema della riscossione degli arretrati relativi agli anni passati.

In questa rapida scheda ricordiamo le principali regole e modalità in base alle quali la Rai e lo Stato possono agire per ottenere il pagamento degli arretrati.

La scelta infelice del nome

Questa imposta parte proprio dal nome comune: “canone Rai” però non si tratta né di un canone, né di un prelievo collegato alla Rai. Si tratta invece di:

 – un’imposta sul possesso di un apparecchio tv, dolosamente chiamata canone e/o abbonamento, ma che, in realtà non ha nulla di un normale abbonamento, perché non è collegata all’uso del servizio. Si paga a prescindere dall’uso, proprio come il bollo auto si paga anche se il mezzo rimane in garage;

un’imposta relativa alla presenza di un apparecchio, all’interno dell’abitazione, in grado di ricevere trasmissioni televisive, qualunque esse siano e, quindi, non solo quelle della Rai.

 Il beneficiario diretto dell’imposta non è quindi la Rai, ma lo Stato che poi, in buona parte, utilizza i proventi per finanziare la televisione pubblica (nonostante con referendum gli italiani abbiano già espresso la loro volontà di privatizzarla).

 Ecco perché è errato chiamare “utenti” i soggetti passivi di quest'imposta: essi sono “contribuenti” così come lo sono chi è tenuto a pagare qualsiasi altra imposta allo Stato.

Per quanto tempo gli arretrati

Il diritto dello Stato di recuperare gli importi non versati per le annualità precedenti si prescrive dopo dieci anni sempre che, nel frattempo, non sia stato inviato al contribuente un atto interruttivo della prescrizione (per esempio, un sollecito di pagamento). Questo significa che se il contribuente non ha pagato per 20 anni il canone Rai, lo Stato gli può chiedere solo il versamento degli ultimi 10 anni e non oltre.

 Chi fa gli accertamenti

Sempre perché si tratta di un’imposta, gli accertamenti fiscali  non possono essere effettuati da personale interno della Rai ma dalla Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza. Ecco perché se dovesse bussare a casa uno dei cosiddetti “esattori” della Rai, il contribuente non è tenuto ad aprire perché non si tratta di un pubblico ufficiale. Non potrebbe però farlo se al citofono vi fossero le fiamme gialle. Peraltro, con la riforma, la possibilità di controlli è stata rafforzata.
 
L’Agenzia delle Entrate, nell’ambito degli accertamenti fiscali, potrebbe rilevare – anche tramite controlli incrociati – la presenza di una televisione all’interno dell’abitazione del contribuente e chiedergli gli arretrati quanto meno sino alla data di acquisto dell’apparecchio (non si dimentichi che gran parte degli acquisti sono tracciabili e quindi è possibile risalire al giorno di acquisto, al luogo e, spesso, anche all’oggetto).

   Qual è la sanzione

Per chi non paga il canone Rai scatta una sanzione pari a 5 volte il canone stesso.

 Chi recupera l’imposta

Così come per tutte le altre imposte, anche il mancato pagamento del cosiddetto canone Rai viene riscosso attraverso Equitalia e le procedure esecutive esattoriali: dunque, previo accertamento da parte del fisco, l’Agente per la riscossione potrà procedere al pignoramento del quinto dello stipendio o della pensione, del conto corrente, al fermo auto o al blocco di eventuali altri crediti nei confronti di soggetti terzi. È da escludere l’ipoteca sulla casa in quanto essa è possibile solo per importi superiori a 20mila euro.

 

giovedì 19 novembre 2015

Tendenzialmente ammissibili i controlli difensivi occulti


La Corte di Cassazione Sezione Lavoro, con la sentenza n.10955 /2015, ha ritenuto tendenzialmente ammissibili i controlli difensivi occulti, anche a opera di personale estraneo all’organizzazione aziendale, in quanto volti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo.

Resta ferma la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali l’interesse del datore di lavoro al controllo e alla difesa della organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi, e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale.

lunedì 16 novembre 2015

Compensi agli amministratori

Compensi agli amministratori: necessaria la delibera per la deducibilità


I giudici della Suprema Corte hanno recentemente affermato che deve ritenersi viziata da invalidità insanabile la delibera di assemblea di approvazione del bilancio di chiusura dell’esercizio, nella parte in cui approva la determinazione dei compensi degli amministratori, in quanto oggetto riservato alla previsione statutaria o ad una specifica assemblea dei soci. Alla nullità della delibera consegue l’assoluta indeducibilità fiscale dei compensi stessi, per difetto dei requisiti di certezza e determinabilità (Corte di Cassazione - Sentenza 28 ottobre 2015, n. 21953).

La questione controversa riguarda il recupero a tassazione effettuato dall’Agenzia delle Entrate, relativamente ai costi sostenuti dalla contribuente (una società a responsabilità limitata) per il pagamento di compensi ad alcuni componenti del Consiglio di amministrazione non risultanti dallo statuto, né da una specifica delibera di assemblea dei soci.
In particolare, le società appartenenti ad un medesimo gruppo (controllanti) hanno designato, secondo previsione statutaria, alcuni componenti nel consiglio di amministrazione della società contribuente (controllata) ed hanno quindi emesso fatture determinando il compenso dovuto da quest’ultima in relazione all’attività svolta dal proprio personale che aveva assunto l’incarico di consigliere di amministrazione. 
La società controllata ha approvato i compensi fatturati soltanto con la delibera dell’assemblea di approvazione del bilancio, provvedendo a versare le somme fatturate, con deduzione dei relativi costi dal reddito d’impresa e detrazione dell’IVA liquidata nelle fatture e versata in rivalsa.
La Commissione Tributaria Regionale della Toscana aveva accolto il ricorso della società contribuente ritenendo legittima la deduzione del costo e la detrazione dell’Iva in virtù del principio di inerenza, considerando invece ininfluente, sotto il profilo fiscale, la determinazione "ex post" del compenso degli amministratori disposta con la delibera assembleare di approvazione del bilancio di chiusura dell’esercizio.
La Corte di Cassazione, invece, riformando la sentenza del giudice di appello, ha affermato l’indeducibilità del costo e l’indetraibilità dell’IVA come diretta conseguenza dell’invalidità della determinazione dei compensi agli amministratori assunta in violazione delle norme civilistiche (art. 2389 del codice civile, applicabile ratione temporis). 
Secondo i giudici della suprema Corte, l’esigenza di una espressa previsione statutaria o di una specifica delibera assembleare avente ad oggetto la determinazione dei compensi degli amministratori è funzionale a garantire la piena trasparenza e la previa conoscenza di tutti i soci della relativa voce di spesa, in quanto elemento essenziale del rapporto fiduciario che presiede all’affidamento dell’incarico di amministrazione. 
Ne segue la invalidità degli atti difformi degli organi societari, come la delibera assembleare di approvazione del bilancio in cui la liquidazione delle somme da erogare agli amministratori sia meramente indicata in una delle voci di spesa del bilancio di chiusura d’esercizio presentato alla approvazione dell’assemblea. In particolare, la delibera (limitatamente alla determinazione dei compensi) deve ritenersi affetta da nullità generale per contrarietà a norma imperativa e inderogabile sia perché, in generale, la disciplina della struttura e del funzionamento delle società regolari sono dettate (anche) nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività commerciale e industriale del Paese, sia perché, in particolare, la percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea realizza una autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori in violazione di norma imperativa non suscettibile di convalida.
La nullità insanabile dell’atto di determinazione dei compensi si traduce, sotto il profilo fiscale, in un conseguente difetto dei requisiti di certezza e determinabilità dei costi richiesti dal TUIR ai fini della deducibilità dal reddito d’impresa, in ossequio ai principi di inerenza e competenza.

venerdì 13 novembre 2015

Mobbing, datore colpevole di inerzia


Mobbing, datore colpevole di inerzia

 

Per la Cassazione il datore di lavoro risulta responsabile quando rimane inerte a fronte del compimento dei fatti lesivi da parte di un dipendente in posizione di superiorità gerarchica rispetto al dipendente-vittima e, pertanto, al datore è direttamente ascrivibile, in aggiunta al soggetto aggressore, la condanna per il risarcimento dei danni sul piano psico-fisico sopportati dal dipendente. E' quanto affermato nella sentenza n. 10037/2015.



























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Mobbing, sette condizioni dalla Cassazione


Mobbing, sette condizioni dalla Cassazione

 

Con la sentenza n. 10037/2015la Corte di Cassazione detta le regole per riconoscere il mobbing.

I parametri che devono essere provati dal soggetto che si dice mobbizzato sono relativi ai seguenti aspetti:

1) le vessazioni devono avvenire sul luogo di lavoro;

2) i contrasti devono avvenire in un congruo periodo di tempo;

3) le attività vessatorie devono essere provate, reiterate e molteplici nel tempo;

4) le azioni ostili poste in essere devono rientrare in almeno due delle categorie di azioni ostili riconosciute: attacchi alla possibilità di comunicare; isolamento sistematico; cambiamenti delle mansioni lavorative; attacchi alla reputazione; violenze o minacce;

5) deve esistere un dislivello tra gli antagonisti e la prova dell'inferiorità del ricorrente;

6) andamento secondo fasi successive della vicenda, almeno alcune tra, conflitto mirato; inizio del mobbing; sintomi psicosomatici; errori e abusi; aggravamento salute; esclusione dal mondo del lavoro ecc;

7) deve esistere l’intento persecutorio, cioè la prova di un disegno premeditato di vessare.

Per la Cassazione, per parlare di mobbing devono ricorrere tassativamente e contestualmente tutte e sette le predette condizioni.




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Il demansionamento senza mobbing legittima il danno biologico


Il demansionamento senza mobbing legittima il danno biologico

 

Con la sentenza n.22635 del 5 novembre 2015, la Corte di Cassazione chiarisce, sotto il duplice profilo sostanziale e processuale, il rapporto tra la domanda giudiziale di accertamento del mobbing e quella di demansionamento.

Sul caso in esame, nel precedente grado di giudizio, la Corte d’Appello di Caltanissetta, aveva condannato il datore di lavoro al risarcimento del danno biologico e da perdita di professionalità in favore di un dipendente che, in ragione di alcune assenze da lavoro, si era trovato inattivo per un apprezzabile periodo di tempo. La Corte d’Appello aveva escluso che la condotta della società integrasse gli estremi del mobbing su cui si fondava la domanda del lavoratore. Sul caso, si è espressa la Suprema Corte che ha confermato il ragionamento della Corte d’Appello. I giudici hanno evidenziato che il mobbing va riconosciuto in tutti quei casi in cui il datore ponga in essere atti o comportamenti vessatori protratti nel tempo nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato a escludere il lavoratore dal gruppo. La Cassazione ha sottolineato che il mobbing è una figura complessa e ha, pertanto, elencato tutte le condizioni che presuppongono una situazione “mobbizzante”.

In secondo luogo, la Cassazione ha confermato la pronuncia  della Corte d’appello nella parte in cui ha ritenuto che nella domanda di risarcimento dei danni può ritenersi compresa anche quella di minor portata di dequalificazione professionale, quale conseguenza dell’inattività o della scarsa utilizzazione del lavoratore volutamente decisa dal datore. Una volta esclusa la natura della condotta, la Cassazione ha giudicato valida la decisione della Corte d’Appello di esaminare la domanda anche sotto il profilo della violazione degli obblighi dal datore di lavoro ai sensi dell’articolo 2103 del codice civile.


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giovedì 12 novembre 2015

Rifiuto di trasformazione del rapporto di lavoro in part time e licenziamento

Rifiuto di trasformazione del rapporto di lavoro in part time e licenziamento


Con sentenza n. 21875 del 27 ottobre 2015, la Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo il licenziamento del lavoratore che si rifiuta di ridurre il proprio impegno orario, sulla base della previsione contenuta nel D.L.vo n. 61/2000, confermata dall’art. 8, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015.

Nel caso di specie, una direttrice sanitaria ha impugnato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole dal Centro di medicina nucleare presso cui lavorava, in quanto sosteneva che il recesso fosse sorretto da un motivo illecito con carattere ritorsivo, ovvero dipendeva dal fatto che avesse rifiuto di acconsentire alla riduzione a 20 ore settimanali del suo orario di lavoro.
La Corte d’appello confermando il rigetto del ricorso del Tribunale, ha affermato che il licenziamento della lavoratrice fosse giustificato da motivi economici dimostrati e da scelte organizzative insindacabili, l’azienda, infatti, versava in condizioni di deterioramento finanziario e per questo si era vista costretta ad una riorganizzazione economico-aziendale, con una conseguente riduzione dei costi del personale dipendente. La Corte dichiarava, inoltre, che lo stesso licenziamento non avesse né carattere ritorsivo né discriminatorio, ma era dipeso da una scelta datoriale di utilizzare due direttori sanitari a tempo parziale.
Diversamente dai giudizi di I e II grado, la Cassazione ha, invece, dichiarato che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in parziale, non costituisce giustificato motivo di licenziamento, ai sensi dell’art. 5, co. 1, del D.Lgs. n. 61/2000, abrogato, come l’intera legge, dall’art. 55, co. 1, lett. a), del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, a decorrere dal 25 giugno 2015.
Tale divieto di licenziamento, derivante direttamente dall’applicazione della Direttiva Comunitaria sul tempo parziale (Direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997), può essere superato soltanto nella ipotesi in cui sia dimostrato, in giudizio, che sussistono oggettiva esigenze aziendali che impediscono la prosecuzione del rapporto a tempo pieno.
Pertanto, la norma nazionale, interpretata alla luce di quella comunitaria, impone di ritenere che il datore di lavoro che licenzi il lavoratore che rifiuta la riduzione di orario ha l’onere di dimostrare che sussistono effettive esigenze economico- organizzative in base alle quali la prestazione non può essere mantenuta a tempo pieno, ma solo con l’orario ridotto, nonché il nesso causale tra queste e il licenziamento.

Ulteriori chiarimento Esonero contributivo L 190/2014

Con circolare del 3 novembre 2015, n. 178, l’Inps fornisce ulteriori indicazioni in ordine ai datori di lavoro iscritti alla gestione dipendenti pubblici ed ai giornalisti iscritti all’INPGI ammessi a fruire del beneficio di esonero contributivo triennale di cui all’art. 1, co. 118 e ss., della L. n. 190/2014 (Legge di stabilità 2015).
Come noto, la Legge di stabilità 2015 (L. n. 190/2014) ha introdotto, per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel corso del 2015, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche e con esclusione dei premi e contributi dovuti all'Inail, nel limite massimo di un importo pari a 8.060 euro su base annua.
Con circolare n. 17/2015, l’Inps aveva già anticipato che, la fruizione dell’esonero contributivo triennale riguarda i datori di lavoro privati e i soggetti giuridici, quali gli enti pubblici economici che, pur essendo organismi pubblici, svolgono in via principale o esclusiva un’attività economica ex art. 2082 c.c., in regime di concorrenza con imprenditori privati. Inoltre, la fruizione dell’incentivo in argomento riguarda altresì i datori di lavoro che, pur essendo tenuti all’assolvimento degli obblighi assicurativi verso le casse della Gestione Pubblici Dipendenti (CPDEL, CPI, CPS, CPUG, CTPS), hanno natura di soggetto privato.
Pertanto, sono esclusi dall’applicazione del beneficio introdotto dalla Legge n. 190 del 2014:
- le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative. Sono da comprendere nell’ambito degli istituti e scuole di ogni ordine e grado le Accademie e i Conservatori statali;
- le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo;
- le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni;
- le istituzioni universitarie;
- gli Istituti autonomi case popolari;
- le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni;
- gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali;
- le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale;
- l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN);
- le Agenzie di cui al Decreto Legislativo n. 300/1999.
Sono ricomprese nell’ambito delle pubbliche amministrazioni: le Aziende sanitarie locali, le Aziende sanitarie ospedaliere e le diverse strutture sanitarie istituite dalle Regioni con Legge regionale nell’ambito dei compiti di organizzazione del servizio sanitario attribuiti alle medesime; le IPAB e le ex IPAB trasformate in Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP).
Nel novero degli enti che non possono fruire dell’esonero contributivo triennale rientrano anche la Banca d’Italia, la Consob e, in linea generale, le Autorità Indipendenti, che sono qualificate amministrazioni pubbliche in conformità al parere n. 260/1999 del Consiglio di Stato, nonché le Università non statali legalmente riconosciute qualificate enti pubblici non economici dalla giurisprudenza amministrativa e ordinaria.
Sono ammessi, invece, al beneficio ex Legge n. 190:
- gli enti pubblici economici;
- gli Istituti autonomi case popolari trasformati in base alle diverse leggi regionali in enti pubblici economici;
- gli enti che - per effetto dei processi di privatizzazione - si sono trasformati in società di persone o società di capitali ancorché a capitale interamente pubblico;
- le ex IPAB trasformate in associazioni o fondazioni di diritto privato, in quanto prive dei requisiti per trasformarsi in ASP, ed iscritte nel registro delle persone giuridiche;
- le aziende speciali costituite anche in consorzio, ai sensi degli artt. 31 e 114 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
- i consorzi di bonifica;
- i consorzi industriali;
- gli enti morali;
- gli enti ecclesiastici.
I datori di lavoro aventi titolo all’esonero contributivo triennale devono richiedere il codice di autorizzazione "6Y" avente il significato di "Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014". La richiesta di attribuzione del suddetto codice di autorizzazione "6Y" deve essere inoltrata prima della trasmissione della denuncia contributiva relativa al primo periodo retributivo in cui si intende esporre l’esonero medesimo. Detta richiesta va effettuata avvalendosi della funzionalità "contatti" del cassetto previdenziale aziende, selezionando nel campo oggetto la denominazione "esonero contributivo triennale legge n. 190/2014", utilizzando la seguente locuzione: "Richiedo l’attribuzione del codice di autorizzazione 6Y ai fini della fruizione dell’esonero contributivo introdotto dalla legge n. 190/2014, art. 1, commi 118 e seguenti, come da circolare n. 17/2015". La sede territorialmente competente attribuirà il predetto codice di autorizzazione alla posizione contributiva relativa ai lavoratori che versano la contribuzione pensionistica alla Gestione dipendenti pubblici con validità dall’1/01/2015 – 31/12/2018, dandone comunicazione al datore di lavoro attraverso il medesimo cassetto previdenziale. Il controllo in ordine alla legittimità di fruizione dell’esonero contributivo in oggetto sarà realizzato attraverso l’istituenda base dati "lavoratori agevolati".
I datori di lavoro che intendono accedere al beneficio ma che non hanno accesso alla funzionalità "contatti" del cassetto previdenziale aziende dovranno inoltrare alla casella PEC della Direzione Centrale Entrate la richiesta di "Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014" prima della trasmissione della denuncia contributiva relativa al primo periodo retributivo in cui si intende esporre l’esonero medesimo.
A partire dalla denuncia del periodo retributivo di novembre 2015, i datori di lavoro iscritti alla Gestione Dipendenti Pubblici espongono nel flusso UniEmens, sezione ListaPosPA, i lavoratori per i quali spetta l’esonero valorizzando, secondo le consuete modalità, l’elemento <imponibile> e l’elemento <contributo> della gestione pensionistica dell’elemento <D0_DenunciaIndividuale> della sezione<PosPa>. In particolare, si precisa che nell’elemento <contributo> della <GestionePensionistica> deve essere indicata la contribuzione piena calcolata sull’imponibile pensionistico del mese.
I datori di lavoro che fruiscono del beneficio devono valorizzare nell’ambito della gestione pensionistica all’interno di <D0_DenunciaIndividuale>, l’elemento <RecuperoSgravi>.
<AnnoRif>AAAA
<MeseRif>MM
<CodiceRecupero>"3" - "Esonero contributivo soglia mensile articolo unico, commi 118 e seguenti, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190"
<Importo>= a € 671,66
Per i rapporti di lavoro instaurati ovvero risolti nel corso del mese, il massimale mensile va ridotto proporzionalmente al numero dei giorni di lavoro, assumendo a riferimento la misura giornaliera di esonero contributivo di € 22,08, corrispondente al massimale annuo suddiviso per 365.
I datori di lavoro iscritti alla Gestione Dipendenti Pubblici devono fruire del beneficio prioritariamente in relazione ai contributi relativi alla gestioni pensionistiche (CPDEL, CPI, CPS, CPUG, CTPS) nei limiti della quota a carico del datore di lavoro e, solo in caso di successiva capienza in ordine al massimale mensile, in relazione alle "contribuzioni minori", da versare alla competente Gestione INPS, per la quota residua, rispettando il limite complessivo mensile di € 671,66 (cfr. Circolare Inps n. 17/2015).
Per i rapporti di lavoro part-time, la misura della suddetta soglia massima va ridotta sulla base della durata dello specifico orario di lavoro, in rapporto a quella ordinaria stabilita dalla legge ovvero dai contratti collettivi di lavoro.
I dati relativi ai periodi retributivi da gennaio a novembre 2015, possono essere esposti nelle denunce inviate fino al 31/01/2016 (periodi retributivi fino a dicembre 2015), valorizzando tanti elementi quanti sono i periodi retributivi per i quali è necessario esporre i dati relativi all’esonero, avendo cura di indicare nell’elemento <MeseRif> il valore corrispondente al mese relativo al periodo retributivo di riferimento dell’esonero.
<AnnoRif>2015
<MeseRif>MM (può assume valori da 01 a 12 ma in ogni caso deve essere minore o uguale al valore indicato in riferimento ad MM nell’elemento <AnnoMeseDenuncia> di Azienda
<CodiceRecupero>"3" - "Esonero contributivo soglia mensile articolo unico, commi 118 e seguenti, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190"
<Importo>= a € 671,66
Nell’ipotesi in cui, in un determinato mese, spetti un beneficio superiore alla soglia massima mensile di € 671,66, l’eccedenza può essere esposta nel mese corrente e nei mesi successivi indicando, nell’elemento <CodiceRecupero>, il valore "4", avente il significato di "Conguaglio residuo esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti legge n.190/2014", ferma restando la soglia massima di esonero contributivo da determinare in funzione dell’anno di riferimento e del mese di liquidazione delle retribuzioni.
Nel caso in cui sia necessario modificare i dati relativi all’esonero contributivo indicati nelle denunce trasmesse in precedenza, è necessario elaborare dei V1 causale 5, tenendo conto delle indicazioni fornite per la valorizzazione dell’elemento <RecuperoSgravi>, avendo cura di valorizzare, altresì, l’importo indicato nella precedente denuncia individuale (E0, V1 causale 2) in corrispondenza del <CodiceRecupero> 5 "Esonero contributivo soglia mensile articolo unico, commi 118 e seguenti, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 - valore dichiarato in precedente denuncia".
L’esonero contributivo triennale è applicabile anche ai rapporti di lavoro subordinato instaurati dai datori di lavoro tenuti ad assolvere gli obblighi di contribuzione obbligatoria nei confronti dell’INPGI. Le domande di autorizzazione alla fruizione dell'esonero devono essere inoltrate direttamente all'INPGI (le modalità di invio saranno stabilite dall’INPGI con apposita circolare). Stante il possesso dei requisiti e delle condizioni fissati dalla Legge n. 190/2014, i benefici contributivi sono efficaci in relazione alle assunzioni/conversioni a tempo indeterminato operate a partire dal 1° gennaio 2015.
Orbene, ai fini dell’omogenea applicazione della normativa in parola, l’Inps, con la circolare n. 178/2015 in argomento, precisa che, ai fini dell’individuazione delle forme di contribuzione obbligatoria soggette all’esonero contributivo, in assenza di specifiche previsioni di legge, vanno escluse dall’applicazione dell’esonero medesimo le contribuzioni che non hanno natura previdenziale e quelle concepite allo scopo di apportare elementi di solidarietà alle gestioni previdenziali di riferimento.
In tale prospettiva, non sono soggette all’esonero contributivo triennale le seguenti forme di contribuzione, ancorché di natura obbligatoria:
- il contributo per la garanzia sul finanziamento della Qu.I.R. (art. 1, co. 29, L. n. 190/2014);
- il contributo previsto dall’articolo 25, comma 4, della Legge 21 dicembre 1978, n. 845, in misura pari allo 0,30% della retribuzione imponibile, destinato, in relazione ai datori di lavoro che vi aderiscono, al finanziamento dei fondi interprofessionali per la formazione continua;
- il contributo di solidarietà sui versamenti destinati alla previdenza complementare e/o ai fondi di assistenza sanitaria di cui alla Legge n. 166/1991;
- il contributo di solidarietà per i lavoratori dello spettacolo;
- il contributo di solidarietà per gli sportivi professionisti.
L’Istituto di previdenza precisa, inoltre, che, trattandosi di una contribuzione previdenziale a carico del datore di lavoro, il contributo aggiuntivo IVS, previsto dall’articolo 3, comma 15, della Legge n. 297/1982 destinato al finanziamento dell’incremento delle aliquote contributive del Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti in misura pari a 0,50% della retribuzione imponibile, è soggetto all’applicazione dell’esonero contributivo triennale.
Nei casi di trasformazione di rapporti a termine ovvero di stabilizzazione dei medesimi entro sei mesi dalla relativa scadenza, trova applicazione la previsione di cui all’articolo 2, comma 30, della Legge n. 92/2012, che regola, nei predetti casi, la restituzione del contributo addizionale di cui al comma 28 della stessa Legge n. 92. Nei casi di stabilizzazione dei rapporti a termine entro sei mesi dalla relativa scadenza, la restituzione del contributo addizionale opera con l’applicazione delle decurtazioni previste dall’ultimo periodo del citato comma 30: i mesi di restituzione del contributo addizionale sono ridotti sulla base dei mesi intercorsi fra la scadenza del rapporto a termine e l’assunzione con contratto a tempo indeterminato. Pertanto, la restituzione piena del contributo addizionale NASPI ricorre solo nei casi di trasformazione del contratto a termine nonché in quelli di stabilizzazione intervenuta il mese successivo a quello di scadenza del contratto a termine. Negli altri casi opererà la contrazione prevista dall’articolo 2, comma 30, della Legge n. 92/2012.
Poiché, infine, l’esonero contributivo opera sulla contribuzione effettivamente dovuta, in caso di applicazione delle misure compensative di cui all’articolo 10, commi 2 e 3, del Decreto Legislativo n. 252/2005 – destinazione del trattamento di fine rapporto ai fondi pensione, al fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del c.c., nonché erogazione in busta paga della Qu.I.R. - l’esonero predetto è calcolato sulla contribuzione previdenziale dovuta, al netto delle riduzioni che scaturiscono dall’applicazione delle predette misure compensative.
Quanto alle condizioni per il riconoscimento del diritto all’incentivo, l’Inps fornisce chiarimenti in ordine a situazioni caratterizzate da particolari condizioni di specificità:
- l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato all’estero nei sei mesi precedenti l’assunzione non consente la fruizione dell’esonero contributivo anche laddove, sulla base della legislazione internazionale, il precedente rapporto di lavoro non contemplasse l’obbligo assicurativo nei confronti di una gestione previdenziale nazionale;
- con riferimento ai rapporti di lavoro part-time a tempo indeterminato, l’esonero spetta anche nei casi in cui il lavoratore sia assunto da due diversi datori di lavoro in relazione ad ambedue i rapporti, purché la data di decorrenza dei predetti rapporti di lavoro sia la medesima. In caso di assunzioni differite, il datore di lavoro perderebbe, infatti, con riguardo al secondo rapporto di lavoro part-time, il requisito legittimante l’ammissione all’agevolazione in oggetto;
- anche laddove il precedente rapporto di lavoro - intercorso nei sei mesi precedenti l’assunzione - sia stata risolto per mancato superamento del periodo di prova ovvero per dimissioni del lavoratore, non si ha diritto alla fruizione dell’esonero. In proposito, si ricorda come l’istituto del periodo di prova abbia lo scopo di consentire al lavoratore di valutare l'esperienza lavorativa offerta e al datore di lavoro di rilevare l’adeguatezza delle competenze e delle effettive capacità del prestatore rispetto alle specifiche esigenze produttive. Ciononostante il rapporto di lavoro, pur sottoposto ad una condizione - il superamento del periodo di prova - deve essere considerato a tempo indeterminato sin dall’origine;
- l’incentivo non spetta qualora i lavoratori già titolari di un rapporto a tempo indeterminato transitino dal cedente al subentrante nei casi di cambi di appalto di servizi, nell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva che disciplina tali rapporti, preveda, per i casi di cessazione dell'appalto cui sono adibiti i dipendenti, una procedura idonea a consentire l'assunzione degli stessi alle dipendenze dell'impresa subentrante, mediante la costituzione ex novo di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto;
- nelle ipotesi di cessione del contratto a tempo indeterminato con passaggio del dipendente al cessionario, la fruizione del beneficio già riconosciuto al datore di lavoro cedente può essere trasferita al subentrante per il periodo residuo non goduto, in quanto in tal caso si verifica la sola modificazione soggettiva del rapporto già in atto che prosegue con il datore di lavoro cessionario;
- la fruizione dell’esonero è, infine, trasferibile nei confronti del cessionario per il periodo residuo non goduto dal cedente in virtù di quanto disposto dall’articolo 2112 c.c., secondo il quale, in caso di trasferimento di azienda, il rapporto di lavoro prosegue con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

Non impedisce, inoltre, l’accesso all’incentivo lo svolgimento nei sei mesi precedenti di prestazioni lavorative in forme giuridiche e contrattuali diverse da quella del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, quali, ad esempio, il rapporto di lavoro a termine, il rapporto di collaborazione a progetto, lo svolgimento di attività di natura professionale in forma autonoma, ecc.
L’Inps ricorda che, ai fini del diritto alla fruizione dell’esonero contributivo, nel corso dei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della Legge di stabilità 2015 (1° ottobre 2014-31 dicembre 2014), il lavoratore non deve aver avuto rapporti di lavoro a tempo indeterminato con il datore di lavoro richiedente l’incentivo ovvero con società da questi controllata o a questi collegata. Al riguardo, l’Istituto specifica che, il lavoro intermittente, anche laddove preveda la corresponsione di un compenso continuativo in termini di indennità di disponibilità, costituisce pur sempre una forma contrattuale strutturalmente concepita allo scopo di far fronte ad attività lavorative di natura discontinua, tant’è che, sul piano generale, la durata della prestazione lavorativa è soggetta a limitazioni di legge ("con l'eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle quattrocento giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari", art. 34, co. 3, D.Lgs. n. 276/2003).
Ai fini del diritto alla fruizione dell’esonero contributivo in questione, vi è l’ulteriore condizione secondo la quale il lavoratore non deve avere avuto un precedente rapporto di lavoro agevolato con lo stesso datore di lavoro che assume.
Il beneficio, come risaputo, riguarda le nuove assunzioni con decorrenza dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015. La sua durata è pari a 36 mesi a partire dalla data di assunzione. In caso di assunzione a tempo indeterminato a scopo di somministrazione, lo sgravio spetta sia per la somministrazione a tempo indeterminato che per la somministrazione a tempo determinato, per la durata complessiva di 36 mesi, compresi gli eventuali periodi in cui il lavoratore rimane in attesa di assegnazione. Il periodo di godimento dell’agevolazione può essere sospeso nei casi di assenza obbligatoria dal lavoro per maternità, consentendo il differimento temporale del periodo di fruizione dei benefici.
L’esonero contributivo triennale non è cumulabile con "altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente" (cfr. circolare n. 17 del 2015), vale a dire, con l’incentivo per l’assunzione di lavoratori con più di 50 anni di età disoccupati da oltre dodici mesi e di donne prive di impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi ovvero prive di impiego da almeno sei mesi e residenti in aree svantaggiate o con una professione o di un settore economico caratterizzati da un’accentuata disparità di genere (art. 4, co. 8-11, L. n. 92/2012). In proposito - precisa l’Inps - è possibile godere prima dell’incentivo previsto dalla Legge n. 92/2012, per un rapporto a tempo determinato, e poi dell’incentivo della Legge n. 190/2014 per la trasformazione a tempo indeterminato.
Analogamente, è possibile godere prima dell’incentivo previsto dalla Legge n. 223/1991, per un rapporto a tempo determinato, e poi dell’incentivo previsto dalla Legge n. 190/2014 per la trasformazione a tempo indeterminato.
L’esonero contributivo introdotto dalla Legge di stabilità 2015 è invece cumulabile con gli incentivi che assumono natura economica. In particolare, per godere dell’incentivo di natura economica previsto dall’articolo 8, comma 4, della Legge n. 223/1991, unitamente all’esonero triennale, è necessario che il datore di lavoro inoltri la richiesta di attribuzione del codice di autorizzazione 5T alla Sede competente mediante la funzionalità "Contatti" del Cassetto previdenziale aziende e valorizzi nel flusso UniEmens nell’elemento <Incentivo> di <DatiRetributivi> di <DenunciaIndividuale> il <TipoIncentivo> "MOBI".
L’esonero non è cumulabile, infine, con la riduzione contributiva fissata per i datori di lavoro agricolo che occupano personale dipendente nei territori montani o nelle singole zone svantaggiate. Pertanto, in applicazione del principio di specialità, per i lavoratori ammessi all’incentivo operanti nei territori montani e nelle zone agricole svantaggiate, i datori di lavoro agricoli possono usufruire del solo regime ordinario previsto dall’articolo 9 della Legge n. 67 del 1988.

Ravvedimento integrale




Soltanto con l’integrale, e dunque necessariamente esatta, esecuzione di tutti i pagamenti relativi a imposta, interessi e sanzioni può ritenersi perfezionato il ravvedimento operoso e,

conseguentemente sanata la violazione (Corte di Cassazione - Sentenza n. 19017/2015).


Pertanto, deve ritenersi inammissibile il ravvedimento operoso parziale, ossia il pagamento di una parte del debito tributario, versando gli interessi e le sanzioni nella misura prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997.
Così la Corte di Cassazione ha riformato la decisione della Commissione tributaria regionale di Milano che aveva accolto il ricorso del contribuente, in relazione alla cartella di pagamento per omesso - tardivo versamento di tributi risultanti dalla dichiarazione dei redditi, conseguente al controllo automatizzato ex articolo 36-ter del DPR n. 600/1973, ritenendo valido il ravvedimento operoso parziale eseguito dallo stesso contribuente.
Secondo il giudice d’appello, ai fini della determinazione della sanzione e degli interessi dovuti per tardivo versamento, doveva essere esclusa dalla base di calcolo, la parte di imposta già versata dal contribuente, contestualmente agli interessi ed alla sanzione in misura ridotta, in base all’istituto del ravvedimento operoso. Per effetto del ravvedimento operoso, dunque, la violazione doveva ritenersi limitata alla differenza tra l’imposta totale e quella versata, con la conseguenza che le sanzioni e gli interessi dovessero essere calcolati soltanto su detta differenza.
La Corte di Cassazione ha precisato, invece, che la disciplina regolatrice dell’istituto del ravvedimento operoso pone come condizioni di operatività del ravvedimento stesso il versamento integrale tanto del tributo, quanto delle sanzioni (nella prevista misura ridotta) e degli interessi legali.
Si tratta, sottolineano i giudici di legittimità, di condizioni di perfezionamento dell’istituto di ravvedimento, atteso il tenore letterale della norma che prevede un obbligo, a proposito del versamento integrale della sanzione ivi prevista contestualmente alla regolarizzazione dell’obbligo tributario, e al versamento degli interessi di mora.
Il comma 2, dell’articolo 13, del Decreto legislativo n. 472 del 1997, infatti, stabilisce che: "il pagamento della sanzione ridotta deve essere eseguito contestualmente alla regolarizzazione del pagamento del tributo o della differenza, quando dovuti, nonché al pagamento degli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno".
Diversamente, l’accoglimento della tesi che riconosce efficacia al ravvedimento operoso parziale, si risolverebbe nell’attribuzione di rilevanza ad un pagamento purchessia, ancorché incompleto, della pur ridotta sanzione di legge, in contrasto con la previsione specifica, a tenore della quale il ravvedimento in ogni caso "si perfeziona" con l'esecuzione di tutti pagamenti previsti, salvo il differimento di sessanta giorni laddove la liquidazione debba essere eseguita dall'amministrazione finanziaria.
In conclusione, deve ritenersi che solo l’integrale ed esatto pagamento del tributo, della sanzione e dei relativi interessi consente di beneficiare degli effetti del ravvedimento operoso.

Esonero contributivo anche per i giornalisti iscritti all'Inpgi

L’Inpgi, con circolare 06 novembre 2015, n. 7, fornisce le istruzioni per la fruizione da parte dei datori di lavoro dell’esonero contributivo per l’assunzione a tempo indeterminato dei giornalisti iscritti all’Istituto

Il Consiglio di Amministrazione dell’Inpgi in data 15 ottobre 2015 ha definitivamente deliberato di riconoscere l’agevolazione contributiva dell’esonero in relazione alle nuove assunzioni di giornalisti assicurati presso l’Istituto con contratto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza nell’anno 2015. La delibera è stata approvata dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con nota n. 15483 del 16 ottobre 2015.
Nello specifico, il beneficio riguarda le nuove assunzioni effettuate entro il 31 dicembre 2015 (saranno riesaminate d’ufficio anche le richieste di sgravio pervenute per le assunzioni effettuate dal 1° gennaio), ancorché in regime di part-time, a prescindere dalla contrattazione collettiva applicata e dallo status professionale del giornalista (professionista, pubblicista o praticante). Altresì, il beneficio compete ai datori di lavoro che stabilizzano i giornalisti già presenti in azienda, con la trasformazione di un contratto di lavoro a termine o di una collaborazione coordinata e continuativa in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. 
Il diritto alla fruizione dell’incentivo risulta subordinato al rispetto dei principi generali in tema di assunzioni agevolate e delle ulteriori condizioni particolari già enunciate dall’Inps.
L’esonero triennale non è cumulabile con "altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente". Tuttavia, come previsto dalla suddetta delibera Inpgi del 15 ottobre 2015, le domande di autorizzazione alla fruizione delle agevolazioni contributive di cui al D.P.C.M. 30 settembre 2014 (art. 4 - "Misure di promozione dell'occupazione giornalistica"), presentate all’Istituto in relazione alle assunzioni con rapporto di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel corso dell’anno 2015 (comprese quelle autorizzate in via provvisoria, in attesa del DPCM relativo all’anno in corso), che non potranno essere autorizzate in via definitiva, saranno valutate d’ufficio in applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 1, comma 118, della Legge n. 190/2014. In presenza dei requisiti previsti, dunque, in luogo delle agevolazioni di cui al D.P.C.M. 30 settembre 2014, sarà autorizzato l’esonero contributivo. Analogamente, per le assunzioni con contratto a tempo determinato avvenute nel corso del 2015, per le quali è stata presentata domanda di sgravio ai sensi del predetto D.P.C.M. 30 settembre 2014 e che non troveranno accoglimento per mancanza di finanziamento, in caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2015, il datore di lavoro, in presenza degli altri requisiti, potrà avanzare domanda di esonero contributivo.
L’esonero è pari ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, con eccezione delle seguenti forme di contribuzione Inpgi:
- i premi per l’assicurazione contro gli infortuni;
- il contributo di solidarietà sui versamenti destinati alla previdenza integrativa e/o ai fondi di assistenza sanitaria (L. n. 166/91);
- il contributo, ove dovuto, al Fondo per gli ammortizzatori sociali, limitatamente alla quota base dello 0,50% a carico del datore di lavoro (Inpgi, circolare n. 9 del 2 settembre 2009). Rientra, invece, nell’esonero l’ulteriore quota dell’1% (Inpgi, circolare n. 5 del 17 ottobre 2014);
- il contributo, ove dovuto, al Fondo integrativo contrattuale "ex fissa" e la relativa addizionale.
L’esonero non può comunque essere superiore alla misura massima di 8.060,00 euro su base annua, opportunamente adeguata in relazione ai rapporti di lavoro part-time (di tipo orizzontale, verticale ovvero misto); al riguardo, i rapporti di lavoro instaurati ai sensi dell’articolo 2 o 12 del CNLG, ai fini dell’esonero contributivo in oggetto, sono equiparati ai rapporti di lavoro a tempo pieno e, pertanto, il datore di lavoro non deve procedere all’adeguamento in ragione dell’orario di lavoro.


Interpello 26/2015 sportivi settore calcistico

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con risposta ad interpello n. 26 del 05 novembre 2015, chiarisce l’irrilevanza della rinuncia alla retribuzione da parte degli sportivi professionisti, ai fini della sussistenza dell’obbligo contributivo dei datori di lavoro.
L’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro (ANCL) ha avanzato una istanza di interpello in ordine alla ipotesi in cui, in ambito sportivo professionistico, calciatori e tecnici rinuncino a stipendi già maturati e non ancora corrisposti per svincolarsi in tempi rapidi dalla società e trovare ingaggio altrove, al fine di conoscere:
  • se i suddetti atti abdicativi, stipulati in sede sindacale, possano avere ad oggetto anche i contributi previdenziali e assistenziali che risultano dovuti sulla base della retribuzione maturata e non ancora corrisposta;
  • se, nell’ipotesi negativa, la contribuzione debba essere calcolata sulle mensilità di stipendio che il lavoratore avrebbe diritto di percepire per contratto oppure sui minimali di legge;
  • quali siano in tali fattispecie le modalità di compilazione del LUL, tenuto conto che il lavoratore non percepisce le retribuzioni maturate per una o più mensilità.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali muove dall’analisi della Legge n. 91/1981, recante norme in materia di rapporti di lavoro tra società e sportivi professionisti, ricomprendendo tale categoria le figure degli atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI. I rapporti di lavoro ivi disciplinati sono esclusivamente quelli appartenenti alla tipologia del lavoro subordinato, forma contrattuale tipica per l’assunzione dell’atleta professionista, in quanto nei confronti di quest’ultimo il contratto di lavoro autonomo risulta configurabile solo laddove ricorrano specifici presupposti, quali, ad esempio, l’assenza di vincolo contrattuale circa la frequenza a sedute di preparazione e allenamento, prestazioni non superiori alle 8 ore settimanali, rese nell’ambito di 5 giorni ogni mese o 30 giorni ogni anno. I suddetti rapporti di lavoro subordinato comportano l’obbligo dello sportivo professionista di espletare la propria attività alle dipendenze e sotto la direzione della società, in cambio di una retribuzione concordata in sede di stipulazione del contratto di ingaggio per ogni singolo anno di durata e corrisposto dalla società allo sportivo in 12 rate mensili. La retribuzione annua lorda assorbe ogni altro emolumento (straordinari, trasferte, gare notturne) e non può essere inferiore al cd. "minimo federale", determinato per ogni singola serie professionistica con separato accordo collettivo tra le parti, ovvero tra ciascuna delle Leghe professionistiche e l’Associazione Italiana Calciatori. Per quanto riguarda, invece, l’assolvimento degli obblighi contributivi, oltre a quelli concernenti l’assicurazione contro invalidità, vecchiaia e superstiti, nonché a quella per le malattie, le società sportive sono tenute a versare un ulteriore contributo al Fondo di accantonamento dell’indennità di fine carriera, calcolato sullo stipendio annuo lordo del calciatore.

Ciò premesso, in primis si richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale, in virtù del quale il lavoratore non può disporre dei profili contributivi che l’ordinamento collega al rapporto di lavoro, tenuto conto che l’obbligazione previdenziale insorge esclusivamente tra datore di lavoro, soggetto obbligato, ed Istituto, titolare della posizione attiva creditoria. Il lavoratore, rispetto all’obbligazione in esame risulta "terzo" ed esclusivamente beneficiario della prestazione, sicchè l’obbligo contributivo del datore di lavoro è comunque sussistente indipendentemente dalla circostanza che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del lavoratore, ovvero che quest’ultimo abbia rinunciato ai suoi diritti. Oltretutto, il codice civile (art. 2115, co. 3) dispone la nullità dei patti diretti ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all’assistenza, sancendo in tal modo la regola della non negoziabilità dei diritti previdenziali, neanche qualora prescritti.

Per quanto concerne la questione relativa alle modalità di compilazione del Libro Unico del Lavoro, considerata la necessità di riportare sul LUL "la quantificazione della durata della prestazione o la retribuzione effettivamente erogata", nel caso in cui si proceda a conciliazione e in tale sede il lavoratore rinunci alla corresponsione di importi retributivi, gli stessi non andranno indicati sul LUL.

Nuovi ammortizzatori sociali




Il Ministero del lavoro fornisce ulteriori istruzioni in merito alle nuove norme in materia di ammortizzatori sociali (D.Lgs. n. 148/2015), con particolare riferimento alla cessazione d’attività e alle istanze di proroga dei trattamenti di CIGS per ristrutturazione, riorganizzazione e contratti di solidarietà (Circolare del 9 novembre 2015, n. 30).
Con particolare riferimento al campo di applicazione delle novelle disposizioni, il Ministero precisa che, vi rientrano altresì le imprese cooperative e loro consorzi che trasformano e manipolano prodotti agricoli; il concetto di trasformazione include, infatti, anche il concetto di manipolazione. 
Tali imprese cooperative e i loro consorzi che commercializzano prodotti agricoli rientrano nel campo di applicazione dell’istituto ma il relativo riferimento normativo è da rinvenirsi all'articolo 20, comma 2, lettera a), del Decreto Legislativo n. 148/2015.

Quanto alle causali d’intervento, come noto, l’articolo 21 del cit. Decreto n. 148 dispone che:
  • la fattispecie della "riorganizzazione aziendale" assorbe e ricomprende in sé quelle della "ristrutturazione" e "conversione aziendale", anche se il periodo di Cigs così concesso non può essere prorogato per complessità dei processi produttivi e per complessità connessa alle ricadute occupazionali, come era invece previsto dalla previgente normativa;
  • nell’ambito della fattispecie di "crisi aziendale" sono ricomprese le causali della crisi per andamento involutivo o negativo degli indicatori economico-finanziari, della crisi aziendale determinata da evento improvviso ed imprevisto e, soltanto fino al 31 dicembre 2015, della crisi per cessazione di attività. Al riguardo, per tale ultima causale, i requisiti per l’ammissione al trattamento devono perfezionarsi entro il 31 dicembre 2015, nel senso che deve essere stipulato l’accordo in sede istituzionale e, altresì, essere presentata l’istanza di ammissione. Il decreto di ammissione può essere emanato anche successivamente al 31 dicembre 2015;
  •  nell’ipotesi di stipula del contratto di solidarietà difensivo, la percentuale "media" di riduzione dell’orario di lavoro di ciascun lavoratore non può essere superiore al 70%, nell’arco dell’intero periodo per il quale il contratto di solidarietà è stipulato.
Riguardo alla fattispecie della crisi per cessazione di attività, il Ministero del lavoro chiarisce che, con riferimento all’unità produttiva oggetto di cessazione - i cui lavoratori hanno già fruito, anche in costanza della normativa previgente al cit. Decreto Legislativo n. 148/2015, del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi per cessazione - non è possibile accedere nuovamente ad un trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria, per qualunque causale, in quanto l’unità produttiva è evidentemente cessata e i lavoratori gestiti alla luce del piano di gestione degli esuberi già articolato nella precedente istanza di accesso al trattamento per la causale di crisi per cessazione.
Lo stesso Ministero del lavoro ribadisce, infine, che, per le istanze presentate successivamente alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 148 (24 settembre 2015), relative a proroghe dei trattamenti di CIGS sia nell’ambito di programmi di ristrutturazione o di riorganizzazione sia nell’ambito di contratti di solidarietà già presentati alla suddetta data del 24 settembre, si applicano le disposizioni relative alla previgente normativa.

In particolare, relativamente alla presentazione delle domande di proroga di trattamenti CIGS relativi a programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale (di durata iniziale pari a 24 mesi) già avviati alla data di entrata in vigore del menzionato Decreto Legislativo n. 148/2015, si applica il termine già previsto dei 25 giorni dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione dell’orario di lavoro; ciò in quanto, secondo la normativa previgente, l’articolazione temporale delle istanze e dei decreti di autorizzazione dei trattamenti non poteva essere relativa a periodi superiori a 12 mesi, sia pure nell’ambito di programmi o contratti di solidarietà di durata già prevista e concordata fino a 24 mesi.

Al fine di consentire, quindi, il completamento dei programmi di riorganizzazione e ristrutturazione e dei contratti di solidarietà già avviati nella vigenza della vecchia normativa, purché la domanda relativa al primo anno sia stata presentata entro il 23 settembre 2015, alle istanze di proroga si applicano le regole di cui alla normativa previgente, comprese quelle relative al procedimento amministrativo, alla contribuzione addizionale e al trattamento di fine rapporto.

I medesimi principi si applicano alle istanze per il secondo anno di programmi di cessazioni biennali di attività eventualmente presentate a decorrere dal 24 settembre 2015, nel rispetto di quanto indicato nelle circolari del Ministero del lavoro n. 1 del 22 gennaio 2015 e n. 9 del 20 marzo 2015. Resta fermo che, alle domande riferite al primo anno del programma di riorganizzazione e ristrutturazione o dei contratti di solidarietà, presentate dopo il 23 settembre 2015, si applica la normativa contenuta Decreto Legislativo n. 148/2015 in questione, sebbene l’accordo sia stato sottoscritto e l’inizio delle sospensioni avvenga in data precedente al 24 settembre 2015.