martedì 22 dicembre 2015


Prima casa: si comprerà in leasing, come le auto!


 

Non è possibile ottenere il mutuo? Niente paura, da gennaio la prima casa potrà acquistarsi in leasing esattamente come le auto.

 A prevedere questa possibilità è un emendamento alla legge di stabilità, che se approvato detterà le regole per l'avvio del leasing nel settore immobiliare.

Secondo il testo, banche e intermediari immobiliari, tramite contratto, si obbligano ad acquistare (o a far costruire) l'immobile in base alla scelta e alle indicazioni dell'utilizzatore, il quale pagherà in sostanza un "affitto", sotto forma di canone leasing (determinato tenendo conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto), per un certo periodo di tempo. Alla fine, quindi, potrà riscattare la casa.

lunedì 21 dicembre 2015

scambio


Cessione ferie e riposi ai colleghi (Jobs Act – D. Lgs. n. 151/2015)
                                           
Uno dei decreti del Jobs Act (Decreto Legislativo n. 151/2015) contiene una norma che introduce le ferie solidali, ossia la possibilità di cessione delle ferie e dei riposi ai colleghi in difficoltà che hanno un figlio minore che per particolari condizioni di salute necessita di cure costanti. Vediamo tutte le condizioni previste dalla legge.       

Il Decreto Legislativo n. 151/2015, in attuazione del Job Act, ha introdotto una norma che consente la cessione dei riposi e delle ferie ai colleghi. Si tratta di un meccanismo di solidarietà tra dipendenti della stessa azienda che ha la finalità di aiutare un lavoratore ad assistere un figlio minore che per le particolari condizioni di salute necessita di cure costanti.

A introdurre tale possibilità è l’art. 24 del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, in vigore dal 24 settembre 2015. Il testo dell’articolo intitolato “Cessione dei riposi e delle ferie” è il seguente: “Fermi restando i diritti di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, i lavoratori possono cedere a titolo gratuito i riposi e le ferie da loro maturati ai lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro, al fine di consentire a questi ultimi di assistere i figli minori che per le particolari condizioni di salute necessitano di cure costanti, nella misura, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale applicabili al rapporto di lavoro”.

      Quando è possibile cedere le ferie e i riposi?
La finalità che autorizza la cessione alle ferie è una sola:
La cessione deve essere finalizzata a consentire ai lavoratori cessionari di assistere i figli minori che, per particolari condizioni di salute, hanno bisogno di assistenza e cure costanti da parte dei genitori.
 In ogni caso la misura, le condizioni e le modalità per l’effettiva possibilità di disporre la cessione saranno affidate ai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale applicabili al rapporto di lavoro.

Quindi va comunque consultato il CCNL applicato dall’azienda (Il CCNL dei chimici , per esempio, nel recentemente rinnovo contrattuale ha già previsto la possibilità di cessione di ferie e rol ai colleghi impegnati in assistenza di figli minori).

     Quali ferie e riposi  si posso cedere al collega?
Bisogna fare attenzione al fatto che la norma inizia con una dicitura che richiama “i diritti di cui al Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66, che è appunto il decreto riguardante l’orario di lavoro.
Ciò significa che in coordinamento con il D. Lgs. n. 66/2003, la cessione di ferie e riposi è consentita ma con esclusione del periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimanale e dei giorni minimi di riposo stabiliti dal Decreto Legislativo n. 66 del 2003 (ossia la normativa sul riposo giornaliero e settimanale).

Di conseguenza, la cessione con riferimento:
a) alle ferie, potrà avere ad oggetto soltanto i giorni disponibili, ovvero quelli previsti dal CCNL in aggiunta al periodo minimo legale di ferie di 4 settimane, ovvero quelli riconosciuti in aggiunta al periodo minimo direttamente dal contratto individuale con il lavoratore, come condizione di miglior favore.
In sostanza, un lavoratore che ha 26 giornate di ferie annue, potrà cedere solo le ferie eccedenti le 4 settimane di ferie obbligatoriamente da godere (generalmente 20 giorni di ferie per chi ha una settimana corta di 5 giorni lavorativi).

b) Per quanto riguarda i giorni minimi di riposo stabiliti dal D. Lgs. n. 66 del 2003, che sono anche essi esclusi dalla possibile cessione delle ferie, il riferimento è alla normativa sul riposo giornaliero e alla normativa sul riposo settimanale.

Sempre a norma del D. Lgs. n. 66 del 2003:
- il "periodo di riposo" è “qualsiasi periodo che non rientra nell'orario di lavoro”.

 Il Decreto del 2003 oltre a stabilire che “l’orario di lavoro è fissato in 40 ore settimanali”,definisce
 -il riposo giornaliero (“Ferma restando la durata normale dell'orario settimanale, il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore”)
-ed i riposi settimanali (“Il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero”).

  La cessione delle ferie e dei riposi ai colleghi  potrà  riguardare  soltanto le ore e le  giornate non rientranti nelle definizioni di cui sopra perchè l’intento del legislatore  è quello comunque di assicurare il diritto alle ferie ed ai riposi dei lavoratori (diritto costituzionalmente garantito e irrinunciabile) anche di fronte alla possibilità di cedere ferie e riposi per solidarietà verso un collega in difficoltà.

lunedì 7 dicembre 2015

Nuove modalità di fruizione del bonus assunzione detenuti

Nuove modalità di fruizione del bonus assunzione detenuti


L’Agenzia delle Entrate ha approvato le modalità e i termini in uso dal 1° gennaio 2016 per fruire del credito d’imposta riconosciuto alle imprese che partecipano al processo di riqualificazione dei detenuti attraverso l’assunzione o l’effettivo svolgimento di attività formativa in favore degli stessi, ai sensi del decreto del Ministro della giustizia n. 148 del 2014 (Provvedimento 27 novembre 2015, n. 153321).
In attuazione dell’articolo 3 della Legge n. 193 del 2000, il Ministero della Giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha emanato il decreto n. 148 del 24 luglio 2014, con il quale ha stabilito che "alle imprese che assumono, per un periodo non inferiore a 30 giorni, lavoratori detenuti o internati, anche ammessi al lavoro all'esterno ai sensi dell'art. 21 della Legge 26 luglio 1975, n. 354, ovvero detenuti semiliberi provenienti dalla detenzione, o che svolgono effettivamente attività formative nei loro confronti è concesso un credito di imposta per ogni lavoratore assunto.
Il credito d’imposta spetta nella misura di:
- 520 euro mensili per ciascun lavoratore assunto tra i detenuti o internati, detenuti o internati, anche ammessi al lavoro all'esterno;
- 300 euro mensili per ciascun lavoratore assunto tra i detenuti in semilibertà o internati semiliberi.
Il credito d'imposta spetta per i medesimi importi suindicati, previsti per ciascuna tipologia di assunzioni, alle imprese che:
- svolgono attività di formazione nei confronti di detenuti o internati, anche ammessi al lavoro all'esterno, o di detenuti o internati ammessi alla semilibertà, a condizione che detta attività comporti, al termine del periodo di formazione, l'immediata assunzione dei detenuti o internati formati per un periodo minimo corrispondente al triplo del periodo di formazione, per il quale hanno fruito del beneficio;
- svolgono attività di formazione mirata a fornire professionalità ai detenuti o agli internati da impiegare in attività lavorative gestite in proprio dall'Amministrazione penitenziaria.
In ogni caso il credito d’imposta spetta in misura proporzionale alle giornate di lavoro prestate, nei limiti del costo sostenuto per il lavoratore.
Dal 1° gennaio 2016 sono modificate le modalità e i termini di fruizione del beneficio.
Il credito d’imposta maturato, infatti, potrà essere utilizzato in compensazione presentando il modello F24 esclusivamente attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate (ENTRATEL e FISCONLINE). 
Dalla data suddetta, dunque, l’utilizzo in compensazione del credito d’imposta effettuato attraverso il modello F24 diverso da quello telematico si considera irregolare ed i relativi pagamenti come non eseguiti.
A tal fine, a decorrere dalla stessa data è soppresso il codice tributo "6741", denominato "Credito d'imposta - Agevolazione concessa alle imprese che assumono detenuti o che svolgono attività formative nei confronti dei detenuti" in uso fino al 31 dicembre 2015. Il nuovo codice tributo F24, per l’utilizzo in compensazione del credito d’imposta dal 1° gennaio 2016, non è stato ancora adottato, ma sarà definito con successiva risoluzione dell’Agenzia delle Entrate.
Grazie all’utilizzo degli strumenti telematici, anche le modalità di riconoscimento e i termini di fruizione del credito d’imposta sono modificati, in modo da assicurare un monitoraggio ed un controllo più efficace sul corretto utilizzo di tale beneficio. 
In particolare, viene affidato al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia il compito di trasmettere all’Agenzia delle Entrate, entro il 31 dicembre di ciascun anno e con modalità telematiche, l’elenco delle imprese beneficiarie del credito per l’anno successivo, con l’importo concesso a ciascuna di esse.
Allo scopo di garantire che la fruizione del credito d’imposta avvenga nei limiti dell’importo complessivamente concesso dal Ministero della giustizia, quindi, l’Agenzia delle Entrate verifica, per ciascun modello F24 ricevuto, che l’importo del credito d’imposta utilizzato non risulti superiore all’ammontare del beneficio complessivamente concesso all’impresa, al netto dell’agevolazione fruita attraverso i modelli F24 già presentati. Nel caso in cui l’importo del credito utilizzato risulti superiore al beneficio residuo, il relativo modello F24 è scartato e i pagamenti ivi contenuti si considerano non effettuati.
Eventuali variazioni agli elenchi delle imprese beneficiarie già trasmessi, nonché le revoche dei crediti già concessi sono comunicati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria all’Agenzia delle Entrate entro 15 giorni da quando ha conoscenza dell'evento che ha determinato la variazione o la revoca.

I crediti d’imposta maturati fino al 31 dicembre 2015, non ancora interamente utilizzati in compensazione, possono essere utilizzati dalle imprese, a decorrere dal 1° gennaio 2016, in compensazione esclusivamente tramite il modello F24 telematico.

Nuove istruzioni Cig/Cigs/cds


Inps, la nuova Cassa integrazione guadagni ordinaria



Con circolare n. 197 del 02 dicembre 2015, l’Inps fornisce le prime indicazioni per l’applicazione delle novità introdotte dal D.Lgs. n. 148/2015 in materia di cassa integrazione guadagni ordinaria, quale strumento di tutela in costanza di rapporto di lavoro

Come noto, a seguito dell’emanazione del Decreto Legislativo n. 148 del 14 settembre 2015, è vigente una nuova normativa inerente le integrazioni salariali (cassa integrazione e contratti di solidarietà) ed i Fondi di solidarietà bilaterali. Tra gli aspetti più importanti, rilevano: l’estensione della tutela per i lavoratori con contratto di apprendistato professionalizzante, la revisione dei requisiti soggettivi e dei limiti massimi di durata, l’aumento del contributo addizionale, il termine di decadenza di 6 mesi entro il quale è ammesso il conguaglio.
Per le integrazioni salariali sia ordinarie che straordinarie, il campo di applicazione soggettivo delle disposizioni in materia di cassa integrazione guadagni - ordinaria e straordinaria - è rappresentato dai lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato, ivi compresi gli apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante, sempre che alla data di presentazione della relativa domanda di concessione i lavoratori abbiano un’anzianità di effettivo lavoro di almeno 90 giorni presso l’unità produttiva. La novità dell’estensione della platea dei beneficiari ai lavoratori con contratto di apprendistato professionalizzante, tuttavia, prevede specificità:
- gli apprendisti alle dipendenze di imprese che possono accedere alle integrazioni salariali ordinarie, sono destinatari esclusivamente di tali trattamenti ordinari;
- quelli dipendenti di imprese che possono accedere alle sole integrazioni straordinarie, sono destinatari di tale trattamento, ma limitatamente al caso in cui l’intervento sia stato richiesto per la causale di crisi aziendale;
- gli apprendisti alle dipendenze di imprese che possono accedere alle integrazioni salariali sia ordinarie che straordinarie, sono destinatari esclusivamente dei trattamenti ordinari.
Riguardo al requisito soggettivo dell’anzianità di almeno 90 giorni alla data di presentazione della domanda presso l’unità produttiva per la quale è richiesto il trattamento, il riferimento è alle giornate di effettiva presenza al lavoro a prescindere dalla loro durata oraria, ivi compresi i periodi di sospensione dal lavoro derivanti da ferie, festività, infortuni e i periodi di maternità obbligatoria. Avendo carattere generale, il requisito dell’anzianità si applica per la prima volta anche alle integrazioni salariali ordinarie.
In applicazione dei principi della legge delega, sono stati rivisti i limiti massimi di durata degli interventi di integrazione salariale. In particolare, vi è la previsione di un limite massimo complessivo per cui, per ciascuna unità produttiva, la somma dei trattamenti ordinari e straordinari di integrazione salariale autorizzati non può superare la durata massima complessiva di 24 mesi in un quinquennio mobile. A tal fine, i trattamenti richiesti prima dell’entrata in vigore del decreto n. 148 (24 settembre 2015) si computano per la sola parte del periodo autorizzato successiva a tale data. Per controllare il limite anzidetto nell’ambito del quinquennio "mobile" si procede in modo analogo a quanto già in uso relativamente al biennio mobile della Cigo: si considera, cioè, la prima settimana oggetto di richiesta di prestazione e, a ritroso, si valutano le 259 settimane precedenti (cd. quinquennio mobile); se in tale arco temporale sono già state autorizzate 104 settimane (pari cioè a 24 mesi) non può essere riconosciuto il trattamento richiesto. Tale conteggio si ripropone per ogni ulteriore settimana di integrazione salariale richiesta. Per le imprese del settore edilizia e quelle che svolgono attività di escavazione e di lavorazione di materiali lapidei, la durata massima complessiva della cassa ordinaria e straordinaria è stabilita in 30 mesi per ciascuna unità produttiva.
A carico delle imprese che presentano domanda di integrazione salariale è previsto un contributo addizionale non più commisurato all’organico dell’impresa, ma all’effettivo utilizzo del trattamento:
a) 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, relativamente ai periodi di integrazione ordinaria o straordinaria fruiti all’interno di uno o più interventi concessi sino a un limite complessivo di 52 settimane in un quinquennio mobile;
b) 12% oltre il limite di 52 settimane e sino a 104 settimane in un quinquennio mobile;
c) 15% oltre il limite di 104 settimane in un quinquennio mobile.
Il contributo non è dovuto per gli interventi di Cigo concessi per eventi oggettivamente non evitabili.
Per i trattamenti richiesti a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto n. 148 (24 settembre 2015) o, se richiesti antecedentemente, non ancora conclusi entro tale data, viene introdotto un termine di decadenza pari a 6 mesi, dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione o dalla data del provvedimento di concessione se successivo, entro il quale sono ammessi il conguaglio (data presentazione Uniemens) o la richiesta di rimborso delle integrazioni corrisposte ai lavoratori. Per i trattamenti già autorizzati, il cui periodo di integrazione salariale si conclude prima del 24 settembre, i 6 mesi decorrono da tale data. Per "provvedimento di concessione" si intende la delibera dell’Inps territorialmente competente per quanto riguarda le integrazioni salariali ordinarie, e il decreto ministeriale per le integrazioni salariali straordinarie.
I lavoratori beneficiari di integrazioni salariali per i quali è programmata una sospensione o riduzione superiore al 50% dell’orario di lavoro calcolato in un periodo di 12 mesi, sono soggetti alle regole della condizionalità (art. 22, D.Lgs. n. 150/2015) ed infatti devono essere convocati daI Centri per l'impiego per stipulare il patto di servizio personalizzato.
Con specifico riferimento al trattamento di integrazione salariale ordinaria, si conferma che l’istituto è un ammortizzatore al quale si può ricorrere per crisi di breve durata e di natura transitoria, che presuppone la ripresa della normale attività lavorativa. Nel periodo transitorio, in attesa nell’emanando decreto ministeriale che guiderà le sedi dell’Istituto nell’azione concessiva della Cigo dal 1° gennaio 2016, le Commissioni provinciali continueranno a decidere sulle istanze, in base dei principi e delle casistiche di cui al regime previgente.
Viene confermata la preesistente disciplina normativa circa il limite massimo delle 52 settimane di Cigo in un biennio mobile. A tal fine, occorre tener conto anche dei periodi di Cigo anteriori al 24 settembre 2015. Gli interventi determinati da eventi oggettivamente non evitabili non sono computati nel predetto computo delle 52 settimane nel biennio. Per il carattere speciale di tale regola di computo, relativa esclusivamente ai limiti di fruizione della Cigo, la stessa non può essere estesa alla valutazione del limite complessivo delle integrazioni salariali dei 24 mesi nel quinquennio mobile. Entro i limiti massimi di durata della Cigo, non possono essere autorizzate ore di integrazione salariale ordinaria eccedenti il limite di un terzo delle ore ordinarie lavorabili nel biennio mobile, con riferimento a tutti i lavoratori dell’unità produttiva mediamente occupati nel semestre precedente la domanda di concessione dell’integrazione salariale. A tal fine, con riferimento all’unità produttiva oggetto di sospensione o riduzione dell’orario, nella domanda di concessione dell’integrazione salariale l’impresa deve comunicare il numero dei lavoratori mediamente occupati nel semestre precedente, distinti per orario contrattuale.
In materia di contribuzione ordinaria, viene stabilita una riduzione e rimodulazione degli oneri contributivi ordinari finalizzati al finanziamento dell’istituto:
- 1,70% per i dipendenti delle imprese industriali che occupano fino a 50 dipendenti e per gli impiegati e quadri delle imprese dell’industria e artigianato edile e lapidei che occupano fino a 50 dipendenti;
- 2,00% per i dipendenti delle imprese industriali che occupano oltre 50 dipendenti e per gli impiegati e quadri delle imprese dell’industria e artigianato edile e lapidei che occupano oltre 50 dipendenti;
- 4,70% per gli operai delle imprese dell’industria e artigianato edile;
- 3,30% per gli operai delle imprese dell’industria e artigianato lapidei.
Le nuove misure contributive si applicano a far tempo dal periodo di paga di settembre 2015.
Anche il procedimento di presentazione della domanda presenta importanti novità, destinate ad avere un significativo impatto operativo. La domanda, infatti, deve riportare, oltre alla causa della sospensione o riduzione dell’orario di lavoro e la presumibile durata, anche i nominativi dei lavoratori interessati e le ore richieste. Circa i termini di presentazione dell’istanza all’Inps, è previsto un nuovo termine di 15 giorni dall’inizio della sospensione o riduzione dell’attività lavorativa. Se il giorno di scadenza è una festività, la stessa è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo. In ogni caso, il periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore del decreto n. 148 e la data di pubblicazione della circolare n. 197 (2 dicembre 2015) è neutralizzato. Conseguentemente per gli eventi intervenuti nel periodo cd. neutralizzato, i 15 giorni utili per la presentazione della domanda si computano dalla data del 2 dicembre.
Infine, la competenza a decidere circa la concessione delle integrazioni salariali ordinarie, a decorrere dal 1° gennaio 2016, anche nell’ottica di una semplificazione delle procedure, appartiene alla sede dell’Inps territorialmente competente.



Fondo sanitario integrativo Portieri

PARTITO IL FONDO SANITARIO INTEGRATIVO PER I DIPENDENTI DA PROPRIETARI DI FABBRICATI

4 DIC 2015 E’ operativo il "Fondo Sanità Portieri". Le Parti firmatarie del CCNL di settore 12/11/2012, Confedilizia, Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs hanno dato piena attuazione alla norma in materia di Assistenza Sanitaria Integrativa di cui all’art. 100 del contratto collettivo.
La Cassa Portieri attraverso la sezione "Fondo Sanitario" gestisce la tutela sanitaria contrattuale per i dipendenti da proprietari di fabbricati, affiancandolo al "Fondo Malattia e Assistenza Integrativa" operativo oramai da molti anni. Tuttavia, precisa la Cassa, i due Fondi sono assolutamente autonomi e diversi l’uno dall’altro, sia nelle finalità - il "Fondo Malattia" gestisce i trattamenti tipicamente sanitari, mentre il Fondo sanitario quelli integrativi e/o aggiuntivi delle prestazioni economiche e sociali pubbliche - sia nei beneficiari - le prestazioni del "Fondo Malattia e di Assistenza Integrativa" riguardano solo i dipendenti di cui ai profili A), C) e D), il "Fondo Sanitario", invece, si rivolge ed eroga le proprie prestazioni a tutti i dipendenti da proprietari di fabbricati, compresi quindi i lavoratori appartenenti al profilo B).
Approfondiamo le date importanti per gli adempimenti al "Fondo Sanitario" e per l’inizio delle sue prestazioni.
Il "Fondo Sanità Portieri", destinato a tutti i dipendenti da proprietari di fabbricati, è operativo dal 1° novembre 2015, e il 16 novembre è scattato l’obbligo di versamento per il periodo pregresso gennaio 2015-ottobre 2015: per i dipendenti in forza all’1/1/2015, è previsto un versamento forfettario pari a 2 mensilità, (€ 4,00x2 per i lavoratori fino a 28 ore settimanali - € 6,00x2 per i lavoratori sopra le 28 ore settimanali), più l’importo di € 0,50 quale quota di iscrizione una tantum.
Il 16 dicembre 2015 parte invece la contribuzione ordinaria, pari a 6,00 euro mensili per tutti i lavoratori a prescindere dal loro orario di lavoro.
La contribuzione nel Contratto Collettivo Nazionale per i dipendenti da proprietari di fabbricati viene effettuata attraverso il sistema di pagamento F24 Codice "ASPO". La Cassa Portieri anche in questo caso, precisa che il contributo destinato al finanziamento del suddetto Fondo Sanitario (Art. 100 CCNL codice ASPO) non modifica né sostituisce il contributo di assistenza contrattuale già attivo e destinato al finanziamento degli altri strumenti contrattuali tra i quali il Fondo Malattia Portieri (Art. 6 CCNL - codici CUST e PULI).

Per quanto riguarda la data di decorrenza delle prestazioni sanitarie viene fissata al 1° febbraio 2016: nel senso che: in base all’art. 10 del regolamento, il Fondo Sanitario non eroga le prestazioni ai dipendenti iscritti nei primi 3 mesi successivi alla loro prima iscrizione. Ai fini della decorrenza delle prestazioni la data di prima iscrizione di un dipendente corrisponde alla data del primo versamento contributivo riferibile allo stesso.
Quindi, per tutti i lavoratori per i quali i versamenti contributivi sono iniziati con il mese di novembre 2015 (F24 del 16 dicembre 2015), fatto salvo l’obbligo di contribuzione per il periodo pregresso, le prestazioni del Fondo Sanitario decorreranno dal 1° febbraio 2016. Per le iscrizioni successive, trascorsi 3 mesi dall’iscrizione.

mercoledì 25 novembre 2015


Il professionista che non verifica la clientela commette reato


 
Il professionista che non identifica il cliente e il beneficiario effettivo della sua prestazione, e che non verifica lo scopo e la natura del rapporto in tutta la sua durata commette reato. A stabilirlo è la sentenza n. 46415 del 23 novembre 2015 della Corte di Cassazione, anticipata da Italia Oggi nell'edizione del 24 novembre 2015.

L'illecito penale è previsto dal decreto legislativo 231/07 sulle norme antiriciclaggio, che impone obblighi severi a professionisti ed intermediari finanziari e pene pecuniarie in caso di inosservanza. Per i giudici della Corte suprema, quindi, basta il semplice "dolo", ovvero la volontà di contravvenire alle prescrizioni in materia di verifica della clientela per compiere reato.

venerdì 20 novembre 2015


RIFLESSIONI  E PENSIERI:

Prescrizione e riscossione dell’imposta sulla televisione: per quanto tempo e come possono essere richiesti gli arretrati.

 La recente riforma del Canone Rai, che entrerà in vigore con la legge di Stabilità 2016 e che prevede la riscossione dell’imposta sulla TV direttamente con il pagamento della bolletta della luce ha posto di fronte gli utenti al consueto problema della riscossione degli arretrati relativi agli anni passati.

In questa rapida scheda ricordiamo le principali regole e modalità in base alle quali la Rai e lo Stato possono agire per ottenere il pagamento degli arretrati.

La scelta infelice del nome

Questa imposta parte proprio dal nome comune: “canone Rai” però non si tratta né di un canone, né di un prelievo collegato alla Rai. Si tratta invece di:

 – un’imposta sul possesso di un apparecchio tv, dolosamente chiamata canone e/o abbonamento, ma che, in realtà non ha nulla di un normale abbonamento, perché non è collegata all’uso del servizio. Si paga a prescindere dall’uso, proprio come il bollo auto si paga anche se il mezzo rimane in garage;

un’imposta relativa alla presenza di un apparecchio, all’interno dell’abitazione, in grado di ricevere trasmissioni televisive, qualunque esse siano e, quindi, non solo quelle della Rai.

 Il beneficiario diretto dell’imposta non è quindi la Rai, ma lo Stato che poi, in buona parte, utilizza i proventi per finanziare la televisione pubblica (nonostante con referendum gli italiani abbiano già espresso la loro volontà di privatizzarla).

 Ecco perché è errato chiamare “utenti” i soggetti passivi di quest'imposta: essi sono “contribuenti” così come lo sono chi è tenuto a pagare qualsiasi altra imposta allo Stato.

Per quanto tempo gli arretrati

Il diritto dello Stato di recuperare gli importi non versati per le annualità precedenti si prescrive dopo dieci anni sempre che, nel frattempo, non sia stato inviato al contribuente un atto interruttivo della prescrizione (per esempio, un sollecito di pagamento). Questo significa che se il contribuente non ha pagato per 20 anni il canone Rai, lo Stato gli può chiedere solo il versamento degli ultimi 10 anni e non oltre.

 Chi fa gli accertamenti

Sempre perché si tratta di un’imposta, gli accertamenti fiscali  non possono essere effettuati da personale interno della Rai ma dalla Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza. Ecco perché se dovesse bussare a casa uno dei cosiddetti “esattori” della Rai, il contribuente non è tenuto ad aprire perché non si tratta di un pubblico ufficiale. Non potrebbe però farlo se al citofono vi fossero le fiamme gialle. Peraltro, con la riforma, la possibilità di controlli è stata rafforzata.
 
L’Agenzia delle Entrate, nell’ambito degli accertamenti fiscali, potrebbe rilevare – anche tramite controlli incrociati – la presenza di una televisione all’interno dell’abitazione del contribuente e chiedergli gli arretrati quanto meno sino alla data di acquisto dell’apparecchio (non si dimentichi che gran parte degli acquisti sono tracciabili e quindi è possibile risalire al giorno di acquisto, al luogo e, spesso, anche all’oggetto).

   Qual è la sanzione

Per chi non paga il canone Rai scatta una sanzione pari a 5 volte il canone stesso.

 Chi recupera l’imposta

Così come per tutte le altre imposte, anche il mancato pagamento del cosiddetto canone Rai viene riscosso attraverso Equitalia e le procedure esecutive esattoriali: dunque, previo accertamento da parte del fisco, l’Agente per la riscossione potrà procedere al pignoramento del quinto dello stipendio o della pensione, del conto corrente, al fermo auto o al blocco di eventuali altri crediti nei confronti di soggetti terzi. È da escludere l’ipoteca sulla casa in quanto essa è possibile solo per importi superiori a 20mila euro.

 

giovedì 19 novembre 2015

Tendenzialmente ammissibili i controlli difensivi occulti


La Corte di Cassazione Sezione Lavoro, con la sentenza n.10955 /2015, ha ritenuto tendenzialmente ammissibili i controlli difensivi occulti, anche a opera di personale estraneo all’organizzazione aziendale, in quanto volti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo.

Resta ferma la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali l’interesse del datore di lavoro al controllo e alla difesa della organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi, e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale.

lunedì 16 novembre 2015

Compensi agli amministratori

Compensi agli amministratori: necessaria la delibera per la deducibilità


I giudici della Suprema Corte hanno recentemente affermato che deve ritenersi viziata da invalidità insanabile la delibera di assemblea di approvazione del bilancio di chiusura dell’esercizio, nella parte in cui approva la determinazione dei compensi degli amministratori, in quanto oggetto riservato alla previsione statutaria o ad una specifica assemblea dei soci. Alla nullità della delibera consegue l’assoluta indeducibilità fiscale dei compensi stessi, per difetto dei requisiti di certezza e determinabilità (Corte di Cassazione - Sentenza 28 ottobre 2015, n. 21953).

La questione controversa riguarda il recupero a tassazione effettuato dall’Agenzia delle Entrate, relativamente ai costi sostenuti dalla contribuente (una società a responsabilità limitata) per il pagamento di compensi ad alcuni componenti del Consiglio di amministrazione non risultanti dallo statuto, né da una specifica delibera di assemblea dei soci.
In particolare, le società appartenenti ad un medesimo gruppo (controllanti) hanno designato, secondo previsione statutaria, alcuni componenti nel consiglio di amministrazione della società contribuente (controllata) ed hanno quindi emesso fatture determinando il compenso dovuto da quest’ultima in relazione all’attività svolta dal proprio personale che aveva assunto l’incarico di consigliere di amministrazione. 
La società controllata ha approvato i compensi fatturati soltanto con la delibera dell’assemblea di approvazione del bilancio, provvedendo a versare le somme fatturate, con deduzione dei relativi costi dal reddito d’impresa e detrazione dell’IVA liquidata nelle fatture e versata in rivalsa.
La Commissione Tributaria Regionale della Toscana aveva accolto il ricorso della società contribuente ritenendo legittima la deduzione del costo e la detrazione dell’Iva in virtù del principio di inerenza, considerando invece ininfluente, sotto il profilo fiscale, la determinazione "ex post" del compenso degli amministratori disposta con la delibera assembleare di approvazione del bilancio di chiusura dell’esercizio.
La Corte di Cassazione, invece, riformando la sentenza del giudice di appello, ha affermato l’indeducibilità del costo e l’indetraibilità dell’IVA come diretta conseguenza dell’invalidità della determinazione dei compensi agli amministratori assunta in violazione delle norme civilistiche (art. 2389 del codice civile, applicabile ratione temporis). 
Secondo i giudici della suprema Corte, l’esigenza di una espressa previsione statutaria o di una specifica delibera assembleare avente ad oggetto la determinazione dei compensi degli amministratori è funzionale a garantire la piena trasparenza e la previa conoscenza di tutti i soci della relativa voce di spesa, in quanto elemento essenziale del rapporto fiduciario che presiede all’affidamento dell’incarico di amministrazione. 
Ne segue la invalidità degli atti difformi degli organi societari, come la delibera assembleare di approvazione del bilancio in cui la liquidazione delle somme da erogare agli amministratori sia meramente indicata in una delle voci di spesa del bilancio di chiusura d’esercizio presentato alla approvazione dell’assemblea. In particolare, la delibera (limitatamente alla determinazione dei compensi) deve ritenersi affetta da nullità generale per contrarietà a norma imperativa e inderogabile sia perché, in generale, la disciplina della struttura e del funzionamento delle società regolari sono dettate (anche) nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività commerciale e industriale del Paese, sia perché, in particolare, la percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea realizza una autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori in violazione di norma imperativa non suscettibile di convalida.
La nullità insanabile dell’atto di determinazione dei compensi si traduce, sotto il profilo fiscale, in un conseguente difetto dei requisiti di certezza e determinabilità dei costi richiesti dal TUIR ai fini della deducibilità dal reddito d’impresa, in ossequio ai principi di inerenza e competenza.

venerdì 13 novembre 2015

Mobbing, datore colpevole di inerzia


Mobbing, datore colpevole di inerzia

 

Per la Cassazione il datore di lavoro risulta responsabile quando rimane inerte a fronte del compimento dei fatti lesivi da parte di un dipendente in posizione di superiorità gerarchica rispetto al dipendente-vittima e, pertanto, al datore è direttamente ascrivibile, in aggiunta al soggetto aggressore, la condanna per il risarcimento dei danni sul piano psico-fisico sopportati dal dipendente. E' quanto affermato nella sentenza n. 10037/2015.



























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Mobbing, sette condizioni dalla Cassazione


Mobbing, sette condizioni dalla Cassazione

 

Con la sentenza n. 10037/2015la Corte di Cassazione detta le regole per riconoscere il mobbing.

I parametri che devono essere provati dal soggetto che si dice mobbizzato sono relativi ai seguenti aspetti:

1) le vessazioni devono avvenire sul luogo di lavoro;

2) i contrasti devono avvenire in un congruo periodo di tempo;

3) le attività vessatorie devono essere provate, reiterate e molteplici nel tempo;

4) le azioni ostili poste in essere devono rientrare in almeno due delle categorie di azioni ostili riconosciute: attacchi alla possibilità di comunicare; isolamento sistematico; cambiamenti delle mansioni lavorative; attacchi alla reputazione; violenze o minacce;

5) deve esistere un dislivello tra gli antagonisti e la prova dell'inferiorità del ricorrente;

6) andamento secondo fasi successive della vicenda, almeno alcune tra, conflitto mirato; inizio del mobbing; sintomi psicosomatici; errori e abusi; aggravamento salute; esclusione dal mondo del lavoro ecc;

7) deve esistere l’intento persecutorio, cioè la prova di un disegno premeditato di vessare.

Per la Cassazione, per parlare di mobbing devono ricorrere tassativamente e contestualmente tutte e sette le predette condizioni.




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Il demansionamento senza mobbing legittima il danno biologico


Il demansionamento senza mobbing legittima il danno biologico

 

Con la sentenza n.22635 del 5 novembre 2015, la Corte di Cassazione chiarisce, sotto il duplice profilo sostanziale e processuale, il rapporto tra la domanda giudiziale di accertamento del mobbing e quella di demansionamento.

Sul caso in esame, nel precedente grado di giudizio, la Corte d’Appello di Caltanissetta, aveva condannato il datore di lavoro al risarcimento del danno biologico e da perdita di professionalità in favore di un dipendente che, in ragione di alcune assenze da lavoro, si era trovato inattivo per un apprezzabile periodo di tempo. La Corte d’Appello aveva escluso che la condotta della società integrasse gli estremi del mobbing su cui si fondava la domanda del lavoratore. Sul caso, si è espressa la Suprema Corte che ha confermato il ragionamento della Corte d’Appello. I giudici hanno evidenziato che il mobbing va riconosciuto in tutti quei casi in cui il datore ponga in essere atti o comportamenti vessatori protratti nel tempo nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato a escludere il lavoratore dal gruppo. La Cassazione ha sottolineato che il mobbing è una figura complessa e ha, pertanto, elencato tutte le condizioni che presuppongono una situazione “mobbizzante”.

In secondo luogo, la Cassazione ha confermato la pronuncia  della Corte d’appello nella parte in cui ha ritenuto che nella domanda di risarcimento dei danni può ritenersi compresa anche quella di minor portata di dequalificazione professionale, quale conseguenza dell’inattività o della scarsa utilizzazione del lavoratore volutamente decisa dal datore. Una volta esclusa la natura della condotta, la Cassazione ha giudicato valida la decisione della Corte d’Appello di esaminare la domanda anche sotto il profilo della violazione degli obblighi dal datore di lavoro ai sensi dell’articolo 2103 del codice civile.


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giovedì 12 novembre 2015

Rifiuto di trasformazione del rapporto di lavoro in part time e licenziamento

Rifiuto di trasformazione del rapporto di lavoro in part time e licenziamento


Con sentenza n. 21875 del 27 ottobre 2015, la Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo il licenziamento del lavoratore che si rifiuta di ridurre il proprio impegno orario, sulla base della previsione contenuta nel D.L.vo n. 61/2000, confermata dall’art. 8, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015.

Nel caso di specie, una direttrice sanitaria ha impugnato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole dal Centro di medicina nucleare presso cui lavorava, in quanto sosteneva che il recesso fosse sorretto da un motivo illecito con carattere ritorsivo, ovvero dipendeva dal fatto che avesse rifiuto di acconsentire alla riduzione a 20 ore settimanali del suo orario di lavoro.
La Corte d’appello confermando il rigetto del ricorso del Tribunale, ha affermato che il licenziamento della lavoratrice fosse giustificato da motivi economici dimostrati e da scelte organizzative insindacabili, l’azienda, infatti, versava in condizioni di deterioramento finanziario e per questo si era vista costretta ad una riorganizzazione economico-aziendale, con una conseguente riduzione dei costi del personale dipendente. La Corte dichiarava, inoltre, che lo stesso licenziamento non avesse né carattere ritorsivo né discriminatorio, ma era dipeso da una scelta datoriale di utilizzare due direttori sanitari a tempo parziale.
Diversamente dai giudizi di I e II grado, la Cassazione ha, invece, dichiarato che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in parziale, non costituisce giustificato motivo di licenziamento, ai sensi dell’art. 5, co. 1, del D.Lgs. n. 61/2000, abrogato, come l’intera legge, dall’art. 55, co. 1, lett. a), del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, a decorrere dal 25 giugno 2015.
Tale divieto di licenziamento, derivante direttamente dall’applicazione della Direttiva Comunitaria sul tempo parziale (Direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997), può essere superato soltanto nella ipotesi in cui sia dimostrato, in giudizio, che sussistono oggettiva esigenze aziendali che impediscono la prosecuzione del rapporto a tempo pieno.
Pertanto, la norma nazionale, interpretata alla luce di quella comunitaria, impone di ritenere che il datore di lavoro che licenzi il lavoratore che rifiuta la riduzione di orario ha l’onere di dimostrare che sussistono effettive esigenze economico- organizzative in base alle quali la prestazione non può essere mantenuta a tempo pieno, ma solo con l’orario ridotto, nonché il nesso causale tra queste e il licenziamento.

Ulteriori chiarimento Esonero contributivo L 190/2014

Con circolare del 3 novembre 2015, n. 178, l’Inps fornisce ulteriori indicazioni in ordine ai datori di lavoro iscritti alla gestione dipendenti pubblici ed ai giornalisti iscritti all’INPGI ammessi a fruire del beneficio di esonero contributivo triennale di cui all’art. 1, co. 118 e ss., della L. n. 190/2014 (Legge di stabilità 2015).
Come noto, la Legge di stabilità 2015 (L. n. 190/2014) ha introdotto, per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel corso del 2015, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche e con esclusione dei premi e contributi dovuti all'Inail, nel limite massimo di un importo pari a 8.060 euro su base annua.
Con circolare n. 17/2015, l’Inps aveva già anticipato che, la fruizione dell’esonero contributivo triennale riguarda i datori di lavoro privati e i soggetti giuridici, quali gli enti pubblici economici che, pur essendo organismi pubblici, svolgono in via principale o esclusiva un’attività economica ex art. 2082 c.c., in regime di concorrenza con imprenditori privati. Inoltre, la fruizione dell’incentivo in argomento riguarda altresì i datori di lavoro che, pur essendo tenuti all’assolvimento degli obblighi assicurativi verso le casse della Gestione Pubblici Dipendenti (CPDEL, CPI, CPS, CPUG, CTPS), hanno natura di soggetto privato.
Pertanto, sono esclusi dall’applicazione del beneficio introdotto dalla Legge n. 190 del 2014:
- le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative. Sono da comprendere nell’ambito degli istituti e scuole di ogni ordine e grado le Accademie e i Conservatori statali;
- le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo;
- le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni;
- le istituzioni universitarie;
- gli Istituti autonomi case popolari;
- le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni;
- gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali;
- le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale;
- l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN);
- le Agenzie di cui al Decreto Legislativo n. 300/1999.
Sono ricomprese nell’ambito delle pubbliche amministrazioni: le Aziende sanitarie locali, le Aziende sanitarie ospedaliere e le diverse strutture sanitarie istituite dalle Regioni con Legge regionale nell’ambito dei compiti di organizzazione del servizio sanitario attribuiti alle medesime; le IPAB e le ex IPAB trasformate in Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP).
Nel novero degli enti che non possono fruire dell’esonero contributivo triennale rientrano anche la Banca d’Italia, la Consob e, in linea generale, le Autorità Indipendenti, che sono qualificate amministrazioni pubbliche in conformità al parere n. 260/1999 del Consiglio di Stato, nonché le Università non statali legalmente riconosciute qualificate enti pubblici non economici dalla giurisprudenza amministrativa e ordinaria.
Sono ammessi, invece, al beneficio ex Legge n. 190:
- gli enti pubblici economici;
- gli Istituti autonomi case popolari trasformati in base alle diverse leggi regionali in enti pubblici economici;
- gli enti che - per effetto dei processi di privatizzazione - si sono trasformati in società di persone o società di capitali ancorché a capitale interamente pubblico;
- le ex IPAB trasformate in associazioni o fondazioni di diritto privato, in quanto prive dei requisiti per trasformarsi in ASP, ed iscritte nel registro delle persone giuridiche;
- le aziende speciali costituite anche in consorzio, ai sensi degli artt. 31 e 114 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
- i consorzi di bonifica;
- i consorzi industriali;
- gli enti morali;
- gli enti ecclesiastici.
I datori di lavoro aventi titolo all’esonero contributivo triennale devono richiedere il codice di autorizzazione "6Y" avente il significato di "Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014". La richiesta di attribuzione del suddetto codice di autorizzazione "6Y" deve essere inoltrata prima della trasmissione della denuncia contributiva relativa al primo periodo retributivo in cui si intende esporre l’esonero medesimo. Detta richiesta va effettuata avvalendosi della funzionalità "contatti" del cassetto previdenziale aziende, selezionando nel campo oggetto la denominazione "esonero contributivo triennale legge n. 190/2014", utilizzando la seguente locuzione: "Richiedo l’attribuzione del codice di autorizzazione 6Y ai fini della fruizione dell’esonero contributivo introdotto dalla legge n. 190/2014, art. 1, commi 118 e seguenti, come da circolare n. 17/2015". La sede territorialmente competente attribuirà il predetto codice di autorizzazione alla posizione contributiva relativa ai lavoratori che versano la contribuzione pensionistica alla Gestione dipendenti pubblici con validità dall’1/01/2015 – 31/12/2018, dandone comunicazione al datore di lavoro attraverso il medesimo cassetto previdenziale. Il controllo in ordine alla legittimità di fruizione dell’esonero contributivo in oggetto sarà realizzato attraverso l’istituenda base dati "lavoratori agevolati".
I datori di lavoro che intendono accedere al beneficio ma che non hanno accesso alla funzionalità "contatti" del cassetto previdenziale aziende dovranno inoltrare alla casella PEC della Direzione Centrale Entrate la richiesta di "Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014" prima della trasmissione della denuncia contributiva relativa al primo periodo retributivo in cui si intende esporre l’esonero medesimo.
A partire dalla denuncia del periodo retributivo di novembre 2015, i datori di lavoro iscritti alla Gestione Dipendenti Pubblici espongono nel flusso UniEmens, sezione ListaPosPA, i lavoratori per i quali spetta l’esonero valorizzando, secondo le consuete modalità, l’elemento <imponibile> e l’elemento <contributo> della gestione pensionistica dell’elemento <D0_DenunciaIndividuale> della sezione<PosPa>. In particolare, si precisa che nell’elemento <contributo> della <GestionePensionistica> deve essere indicata la contribuzione piena calcolata sull’imponibile pensionistico del mese.
I datori di lavoro che fruiscono del beneficio devono valorizzare nell’ambito della gestione pensionistica all’interno di <D0_DenunciaIndividuale>, l’elemento <RecuperoSgravi>.
<AnnoRif>AAAA
<MeseRif>MM
<CodiceRecupero>"3" - "Esonero contributivo soglia mensile articolo unico, commi 118 e seguenti, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190"
<Importo>= a € 671,66
Per i rapporti di lavoro instaurati ovvero risolti nel corso del mese, il massimale mensile va ridotto proporzionalmente al numero dei giorni di lavoro, assumendo a riferimento la misura giornaliera di esonero contributivo di € 22,08, corrispondente al massimale annuo suddiviso per 365.
I datori di lavoro iscritti alla Gestione Dipendenti Pubblici devono fruire del beneficio prioritariamente in relazione ai contributi relativi alla gestioni pensionistiche (CPDEL, CPI, CPS, CPUG, CTPS) nei limiti della quota a carico del datore di lavoro e, solo in caso di successiva capienza in ordine al massimale mensile, in relazione alle "contribuzioni minori", da versare alla competente Gestione INPS, per la quota residua, rispettando il limite complessivo mensile di € 671,66 (cfr. Circolare Inps n. 17/2015).
Per i rapporti di lavoro part-time, la misura della suddetta soglia massima va ridotta sulla base della durata dello specifico orario di lavoro, in rapporto a quella ordinaria stabilita dalla legge ovvero dai contratti collettivi di lavoro.
I dati relativi ai periodi retributivi da gennaio a novembre 2015, possono essere esposti nelle denunce inviate fino al 31/01/2016 (periodi retributivi fino a dicembre 2015), valorizzando tanti elementi quanti sono i periodi retributivi per i quali è necessario esporre i dati relativi all’esonero, avendo cura di indicare nell’elemento <MeseRif> il valore corrispondente al mese relativo al periodo retributivo di riferimento dell’esonero.
<AnnoRif>2015
<MeseRif>MM (può assume valori da 01 a 12 ma in ogni caso deve essere minore o uguale al valore indicato in riferimento ad MM nell’elemento <AnnoMeseDenuncia> di Azienda
<CodiceRecupero>"3" - "Esonero contributivo soglia mensile articolo unico, commi 118 e seguenti, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190"
<Importo>= a € 671,66
Nell’ipotesi in cui, in un determinato mese, spetti un beneficio superiore alla soglia massima mensile di € 671,66, l’eccedenza può essere esposta nel mese corrente e nei mesi successivi indicando, nell’elemento <CodiceRecupero>, il valore "4", avente il significato di "Conguaglio residuo esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti legge n.190/2014", ferma restando la soglia massima di esonero contributivo da determinare in funzione dell’anno di riferimento e del mese di liquidazione delle retribuzioni.
Nel caso in cui sia necessario modificare i dati relativi all’esonero contributivo indicati nelle denunce trasmesse in precedenza, è necessario elaborare dei V1 causale 5, tenendo conto delle indicazioni fornite per la valorizzazione dell’elemento <RecuperoSgravi>, avendo cura di valorizzare, altresì, l’importo indicato nella precedente denuncia individuale (E0, V1 causale 2) in corrispondenza del <CodiceRecupero> 5 "Esonero contributivo soglia mensile articolo unico, commi 118 e seguenti, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 - valore dichiarato in precedente denuncia".
L’esonero contributivo triennale è applicabile anche ai rapporti di lavoro subordinato instaurati dai datori di lavoro tenuti ad assolvere gli obblighi di contribuzione obbligatoria nei confronti dell’INPGI. Le domande di autorizzazione alla fruizione dell'esonero devono essere inoltrate direttamente all'INPGI (le modalità di invio saranno stabilite dall’INPGI con apposita circolare). Stante il possesso dei requisiti e delle condizioni fissati dalla Legge n. 190/2014, i benefici contributivi sono efficaci in relazione alle assunzioni/conversioni a tempo indeterminato operate a partire dal 1° gennaio 2015.
Orbene, ai fini dell’omogenea applicazione della normativa in parola, l’Inps, con la circolare n. 178/2015 in argomento, precisa che, ai fini dell’individuazione delle forme di contribuzione obbligatoria soggette all’esonero contributivo, in assenza di specifiche previsioni di legge, vanno escluse dall’applicazione dell’esonero medesimo le contribuzioni che non hanno natura previdenziale e quelle concepite allo scopo di apportare elementi di solidarietà alle gestioni previdenziali di riferimento.
In tale prospettiva, non sono soggette all’esonero contributivo triennale le seguenti forme di contribuzione, ancorché di natura obbligatoria:
- il contributo per la garanzia sul finanziamento della Qu.I.R. (art. 1, co. 29, L. n. 190/2014);
- il contributo previsto dall’articolo 25, comma 4, della Legge 21 dicembre 1978, n. 845, in misura pari allo 0,30% della retribuzione imponibile, destinato, in relazione ai datori di lavoro che vi aderiscono, al finanziamento dei fondi interprofessionali per la formazione continua;
- il contributo di solidarietà sui versamenti destinati alla previdenza complementare e/o ai fondi di assistenza sanitaria di cui alla Legge n. 166/1991;
- il contributo di solidarietà per i lavoratori dello spettacolo;
- il contributo di solidarietà per gli sportivi professionisti.
L’Istituto di previdenza precisa, inoltre, che, trattandosi di una contribuzione previdenziale a carico del datore di lavoro, il contributo aggiuntivo IVS, previsto dall’articolo 3, comma 15, della Legge n. 297/1982 destinato al finanziamento dell’incremento delle aliquote contributive del Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti in misura pari a 0,50% della retribuzione imponibile, è soggetto all’applicazione dell’esonero contributivo triennale.
Nei casi di trasformazione di rapporti a termine ovvero di stabilizzazione dei medesimi entro sei mesi dalla relativa scadenza, trova applicazione la previsione di cui all’articolo 2, comma 30, della Legge n. 92/2012, che regola, nei predetti casi, la restituzione del contributo addizionale di cui al comma 28 della stessa Legge n. 92. Nei casi di stabilizzazione dei rapporti a termine entro sei mesi dalla relativa scadenza, la restituzione del contributo addizionale opera con l’applicazione delle decurtazioni previste dall’ultimo periodo del citato comma 30: i mesi di restituzione del contributo addizionale sono ridotti sulla base dei mesi intercorsi fra la scadenza del rapporto a termine e l’assunzione con contratto a tempo indeterminato. Pertanto, la restituzione piena del contributo addizionale NASPI ricorre solo nei casi di trasformazione del contratto a termine nonché in quelli di stabilizzazione intervenuta il mese successivo a quello di scadenza del contratto a termine. Negli altri casi opererà la contrazione prevista dall’articolo 2, comma 30, della Legge n. 92/2012.
Poiché, infine, l’esonero contributivo opera sulla contribuzione effettivamente dovuta, in caso di applicazione delle misure compensative di cui all’articolo 10, commi 2 e 3, del Decreto Legislativo n. 252/2005 – destinazione del trattamento di fine rapporto ai fondi pensione, al fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del c.c., nonché erogazione in busta paga della Qu.I.R. - l’esonero predetto è calcolato sulla contribuzione previdenziale dovuta, al netto delle riduzioni che scaturiscono dall’applicazione delle predette misure compensative.
Quanto alle condizioni per il riconoscimento del diritto all’incentivo, l’Inps fornisce chiarimenti in ordine a situazioni caratterizzate da particolari condizioni di specificità:
- l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato all’estero nei sei mesi precedenti l’assunzione non consente la fruizione dell’esonero contributivo anche laddove, sulla base della legislazione internazionale, il precedente rapporto di lavoro non contemplasse l’obbligo assicurativo nei confronti di una gestione previdenziale nazionale;
- con riferimento ai rapporti di lavoro part-time a tempo indeterminato, l’esonero spetta anche nei casi in cui il lavoratore sia assunto da due diversi datori di lavoro in relazione ad ambedue i rapporti, purché la data di decorrenza dei predetti rapporti di lavoro sia la medesima. In caso di assunzioni differite, il datore di lavoro perderebbe, infatti, con riguardo al secondo rapporto di lavoro part-time, il requisito legittimante l’ammissione all’agevolazione in oggetto;
- anche laddove il precedente rapporto di lavoro - intercorso nei sei mesi precedenti l’assunzione - sia stata risolto per mancato superamento del periodo di prova ovvero per dimissioni del lavoratore, non si ha diritto alla fruizione dell’esonero. In proposito, si ricorda come l’istituto del periodo di prova abbia lo scopo di consentire al lavoratore di valutare l'esperienza lavorativa offerta e al datore di lavoro di rilevare l’adeguatezza delle competenze e delle effettive capacità del prestatore rispetto alle specifiche esigenze produttive. Ciononostante il rapporto di lavoro, pur sottoposto ad una condizione - il superamento del periodo di prova - deve essere considerato a tempo indeterminato sin dall’origine;
- l’incentivo non spetta qualora i lavoratori già titolari di un rapporto a tempo indeterminato transitino dal cedente al subentrante nei casi di cambi di appalto di servizi, nell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva che disciplina tali rapporti, preveda, per i casi di cessazione dell'appalto cui sono adibiti i dipendenti, una procedura idonea a consentire l'assunzione degli stessi alle dipendenze dell'impresa subentrante, mediante la costituzione ex novo di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto;
- nelle ipotesi di cessione del contratto a tempo indeterminato con passaggio del dipendente al cessionario, la fruizione del beneficio già riconosciuto al datore di lavoro cedente può essere trasferita al subentrante per il periodo residuo non goduto, in quanto in tal caso si verifica la sola modificazione soggettiva del rapporto già in atto che prosegue con il datore di lavoro cessionario;
- la fruizione dell’esonero è, infine, trasferibile nei confronti del cessionario per il periodo residuo non goduto dal cedente in virtù di quanto disposto dall’articolo 2112 c.c., secondo il quale, in caso di trasferimento di azienda, il rapporto di lavoro prosegue con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

Non impedisce, inoltre, l’accesso all’incentivo lo svolgimento nei sei mesi precedenti di prestazioni lavorative in forme giuridiche e contrattuali diverse da quella del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, quali, ad esempio, il rapporto di lavoro a termine, il rapporto di collaborazione a progetto, lo svolgimento di attività di natura professionale in forma autonoma, ecc.
L’Inps ricorda che, ai fini del diritto alla fruizione dell’esonero contributivo, nel corso dei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della Legge di stabilità 2015 (1° ottobre 2014-31 dicembre 2014), il lavoratore non deve aver avuto rapporti di lavoro a tempo indeterminato con il datore di lavoro richiedente l’incentivo ovvero con società da questi controllata o a questi collegata. Al riguardo, l’Istituto specifica che, il lavoro intermittente, anche laddove preveda la corresponsione di un compenso continuativo in termini di indennità di disponibilità, costituisce pur sempre una forma contrattuale strutturalmente concepita allo scopo di far fronte ad attività lavorative di natura discontinua, tant’è che, sul piano generale, la durata della prestazione lavorativa è soggetta a limitazioni di legge ("con l'eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle quattrocento giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari", art. 34, co. 3, D.Lgs. n. 276/2003).
Ai fini del diritto alla fruizione dell’esonero contributivo in questione, vi è l’ulteriore condizione secondo la quale il lavoratore non deve avere avuto un precedente rapporto di lavoro agevolato con lo stesso datore di lavoro che assume.
Il beneficio, come risaputo, riguarda le nuove assunzioni con decorrenza dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015. La sua durata è pari a 36 mesi a partire dalla data di assunzione. In caso di assunzione a tempo indeterminato a scopo di somministrazione, lo sgravio spetta sia per la somministrazione a tempo indeterminato che per la somministrazione a tempo determinato, per la durata complessiva di 36 mesi, compresi gli eventuali periodi in cui il lavoratore rimane in attesa di assegnazione. Il periodo di godimento dell’agevolazione può essere sospeso nei casi di assenza obbligatoria dal lavoro per maternità, consentendo il differimento temporale del periodo di fruizione dei benefici.
L’esonero contributivo triennale non è cumulabile con "altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente" (cfr. circolare n. 17 del 2015), vale a dire, con l’incentivo per l’assunzione di lavoratori con più di 50 anni di età disoccupati da oltre dodici mesi e di donne prive di impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi ovvero prive di impiego da almeno sei mesi e residenti in aree svantaggiate o con una professione o di un settore economico caratterizzati da un’accentuata disparità di genere (art. 4, co. 8-11, L. n. 92/2012). In proposito - precisa l’Inps - è possibile godere prima dell’incentivo previsto dalla Legge n. 92/2012, per un rapporto a tempo determinato, e poi dell’incentivo della Legge n. 190/2014 per la trasformazione a tempo indeterminato.
Analogamente, è possibile godere prima dell’incentivo previsto dalla Legge n. 223/1991, per un rapporto a tempo determinato, e poi dell’incentivo previsto dalla Legge n. 190/2014 per la trasformazione a tempo indeterminato.
L’esonero contributivo introdotto dalla Legge di stabilità 2015 è invece cumulabile con gli incentivi che assumono natura economica. In particolare, per godere dell’incentivo di natura economica previsto dall’articolo 8, comma 4, della Legge n. 223/1991, unitamente all’esonero triennale, è necessario che il datore di lavoro inoltri la richiesta di attribuzione del codice di autorizzazione 5T alla Sede competente mediante la funzionalità "Contatti" del Cassetto previdenziale aziende e valorizzi nel flusso UniEmens nell’elemento <Incentivo> di <DatiRetributivi> di <DenunciaIndividuale> il <TipoIncentivo> "MOBI".
L’esonero non è cumulabile, infine, con la riduzione contributiva fissata per i datori di lavoro agricolo che occupano personale dipendente nei territori montani o nelle singole zone svantaggiate. Pertanto, in applicazione del principio di specialità, per i lavoratori ammessi all’incentivo operanti nei territori montani e nelle zone agricole svantaggiate, i datori di lavoro agricoli possono usufruire del solo regime ordinario previsto dall’articolo 9 della Legge n. 67 del 1988.