lunedì 29 febbraio 2016

Aspettativa successiva alla malattia e periodo di comporto

Aspettativa successiva alla malattia e periodo di comporto

Ai fini del superamento del periodo di comporto, il periodo di aspettativa, successivo a quello di malattia, non può essere computato nell'arco temporale previsto dalla disciplina collettiva ma va considerato come periodo ‘neutro’. Il datore di lavoro può, quindi, legittimamente esercitare i diritti di recesso ove, al termine dell'aspettativa, il lavoratore non rientri in servizio o si assenti nuovamente per malattia, e l'assenza, sommata alle precedenti, superi il periodo cosiddetto ‘interno’ entro l'arco temporale esterno, da calcolarsi escludendo il periodo di aspettativa (Cass. n. 3297/2016).
Questo il principio confermato dalla Corte di Cassazione a proposito del ricorso di una lavoratrice che chiedeva l’illegittimità del licenziamento intimatole per superamento del periodo di comporto per sommatoria.
Già la Corte di appello di Venezia si era espressa in tal senso, ritenendo che i periodi di aspettativa per malattia fruiti dalla lavoratrice non dovessero essere calcolati, non solo, come giorni di malattia, ma neppure per la determinazione del limite "esterno" del comporto, pari a 1080 giorni, in virtù delle previsioni della norma collettiva in materia (nella specie art. 32 c.c.n.I. elettrici) e in conformità alla ratio dell'istituto dell'aspettativa.
Con unico motivo la ricorrente denunciava violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e seguenti c.c. nonché, violazione e falsa applicazione dell'art. 32 del c.c.n.I. - con particolare riferimento ai commi 2 e 3 concernenti il diritto alla conservazione del posto per effetto di una pluralità di episodi morbosi ed a quello concernente la concessione di un periodo di aspettativa non retribuita con decorrenza dell'anzianità di servizio -rilevando come dal tenore letterale delle norme collettive richiamate, e tenuto conto delle finalità dell'istituto dell'aspettativa, si potesse ricavare che nel computo dei giorni che consentono il superamento del comporto, e quindi la risoluzione lecita del rapporto di lavoro per malattia, non fossero da computarsi i periodi di aspettativa concessi dal datore di lavoro a richiesta del dipendente.

La Cassazione non ha accolto il ricorso, ritenendolo in primis inammissibile perché di mera riproposizione delle ragioni difensive presentate nel giudizio di appello, a contrasto del gravame e a presidio della decisione, favorevole alla ricorrente, del Tribunale di Verona; anche le ulteriori osservazioni presentate si muovono nell'ambito dei discorsi argomentativi del primo giudice, avendo presenti non già le esigenze di una critica di legittimità alla sentenza impugnata ma quelle di una difesa della decisione di primo grado (cfr. Cass. 3 agosto 2007, n. 17125).
Inoltre, confermando l’orientamento giurisprudenziale recente (cfr. sentenza 12 febbraio 2015, n. 2794), la Corte ha concluso che nel caso di concessione di un periodo di aspettativa, successivo a quello di malattia, il relativo periodo non può essere computato nell'arco temporale dei trentasei mesi previsti dalla disciplina collettiva ma va considerato come periodo ‘neutro’, sicché il datore di lavoro può legittimamente esercitare i diritti di recesso ove, al termine dell'aspettativa, il lavoratore non rientri in servizio o si assenti nuovamente per malattia, e l'assenza, sommata alle precedenti, superi il periodo cosiddetto ‘interno’ entro l'arco temporale esterno, da calcolarsi escludendo il periodo di aspettativa


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