martedì 19 gennaio 2016


 
Come si fa la domanda di disoccupazione Naspi?
Nuova indennità di disoccupazione Naspi: requisiti, come compilare e presentare la domanda, ulteriori adempimenti.
 Dal 1° maggio 2015 sono andate in pensione le due indennità di disoccupazione Aspi e Mini Aspi (che sostituivano la DS ordinaria e quella a requisiti ridotti),sostituite dalla nuova indennità di disoccupazione Naspi (valida anche in caso di possesso dei requisiti ridotti).
La Naspi può essere richiesta da chiunque abbia perso involontariamente l’occupazione, purché possieda almeno 13 settimane di contribuzione da lavoro dipendente negli ultimi 4 anni, ed almeno 30 giornate di lavoro nei 12 mesi precedenti il licenziamento; non sono contati eventuali periodi precedentemente indennizzati.
 
Vediamo ora gli adempimenti necessari per ottenere l’indennità, passo dopo passo.
Naspi: i termini per la domanda
Innanzitutto, bisogna tener presente che l’indennità di disoccupazione decorre a partire dall’ottavo giorno dalla cessazione del rapporto; se la domanda di disoccupazione, però, è inviata successivamente, la decorrenza partirà dalla data d’invio dell’istanza. Dalla data di termine del rapporto, ci sono in tutto 68 giorni per inviare la domanda.
Naspi: come inviare domanda online
Una prima modalità d’invio della domanda è online, servendosi dei servizi Inps per il cittadino.
 
Per inoltrare la domanda via web, dovrai:
 – in primo luogo, possedere il codice Pin personale per accedere al sito dell’Inps (se non ce l’hai, puoi domandarlo direttamente nello stesso portale dell’Inps, alla sezione “Pin online, richiedi Pin”: la metà del codice ti arriverà subito, l’altra metà via posta; oppure lo puoi richiedere presso gli sportelli della tua sede Inps);
 – poi, entrare, col tuo Pin ed il tuo codice fiscale, nella sezione del sito dell’Inps “Servizi per il cittadino”, all’interno della sezione Servizi Online;
– a questo punto, dovrai scegliere la sezione “Invio domande di prestazioni a sostegno del reddito”;
 – dovrai poi compilare il form di domanda Naspi, raggiungibile tramite il percorso “Naspi-Indennità di Naspi” (scarica il modellino);
– terminata la compilazione del form, potrai scegliere se inviare subito la domanda, o salvarla e tornare a modificarla in un secondo momento; se scegli di inviarla subito, non potrai più cambiarla.
Naspi: come inviare domanda tramite patronato
Se non possiedi il codice Pin per i servizi dell’Inps, puoi inviare la domanda Naspi tramite un qualsiasi Patronato. Dovrai compilare il modello di domanda Naspi, codice SR 156 (che alleghiamo all’articolo), scaricabile anche dal sito dell’Inps, ed il mandato al Patronato.
Naspi: come compilare la domanda
Nella domanda Naspi, sia in caso di compilazione online, che in caso di compilazione cartacea, dovrai inserire i seguenti dati:
 – Nome, Cognome, Codice Fiscale, data di Nascita, Indirizzo, telefono e indirizzo Mail;
Dovrai poi dichiarare nel modello:
– l’eventuale svolgimento di periodi di lavoro all’estero;
– l’eventuale percezione d’indennità di mancato preavviso;
– l’eventuale sussistenza di altra attività lavorativa subordinata o autonoma (la Naspi spetta sino alla soglia annua di 8.000 euro, in caso di altro lavoro dipendente o parasubordinato, o sino a 4.800 euro, se svolgi una nuova attività di lavoro autonomo);
– se il licenziamento è avvenuto per malattia;
– l’eventuale percezione d’indennità per invalidità;
– lo svolgimento di almeno 30 giornate di lavoro dipendente nei 12 mesi precedenti;
– l’eventuale possesso di pensioni;
– la spettanza di eventuali detrazioni per lavoro dipendente o per familiari a carico;
 – il diritto alla percezione di assegni familiari.
 
 Dovrai, in seguito, scegliere la modalità di pagamento, se tramite bonifico domiciliato o accredito diretto nel tuo conto corrente (dovrai, in questo caso, inserire il tuo Iban).
 Dovrai, infine, rendere la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (Did) direttamente tramite lo stesso lo, se non hai già reso la dichiarazione presso il Centro per l’Impiego (in questo caso, dovrai indicarne gli estremi).
 Il modulo si conclude col tuo impegno a comunicare, entro 5 giorni, ogni variazione dello stato di disoccupazione e, entro 30 giorni, l’espatrio, l’apertura di un contenzioso inerente il licenziamento, o l’avvio di un’attività lavorativa; in ultimo, potrai compilare la sezione contenente il mandato di rappresentanza al patronato e la delega alla trattenuta di quote sindacali, e dovrai firmare la Dichiarazione di Responsabilità.
 
Naspi: ulteriori comunicazioni
Ogni comunicazione inerente la Naspi deve essere inviata utilizzando il Form online Naspi-Com, all’interno della sezione Naspi del sito dell’Inps, o compilando l’omonimo modello cartaceo e inoltrandolo tramite Patronato.
articolo estratto da "LLpT -la Legge per tutti" - 13/01/2016
 

venerdì 15 gennaio 2016


I BENI CHE EQUITALIA E I CREDITORI NON POSSONO PIGNORARE -

Pignoramento mobiliare e immobiliare, esecuzione forzata e regole su prima casa, conto corrente, pensione, stipendio, fondo patrimoniale.

 Vi sono beni che non possono mai costituire oggetto di pignoramento, anche se le regole sono parzialmente diverse a seconda che il creditore sia Equitalia o qualsiasi altro soggetto privato come la banca, il fornitore, ecc. Cerchiamo di sintetizzarle qui di seguito.

Non possono mai essere pignorati i seguenti beni:

 LIMITI PER EQUITALIA

Equitalia non può mai pignorare:

o        -La prima casa, se è anche l’unica, non è di lusso, è a uso abitativo e il debitore vi ha fissato la residenza. Tuttavia, vi può iscrivere ipoteca se il suo credito è superiore a 20mila euro.  Se mancano i predetti presupposti, Equitalia, oltre a iscrivere ipoteca, può pignorare l’immobile (ossia metterlo all’asta con la procedura in tribunale), a condizione che il suo credito sia superiore a 120mila euro.

o        Lo stipendio: Equitalia non può pignorarne un importo superiore a un decimo se lo stipendio non supera 2.500 euro al mese; non può pignorarne più di un settimo se è compreso tra 2.5001 euro e 5.000; non può pignorarne più di un quinto se è superiore a 5.001 euro.

o        La pensione: in generale Equitalia non può mai pignorare la pensione se essa è inferiore all’importo pari all’assegno sociale (per il 2015 è pari a 448,52 euro ) aumentato della metà (ossia 224,26). Pertanto la pensione non può mai scendere al disotto di 672,78. È il cosiddetto minimo vitale.                                                                                                        Per l’eccedenza, Equitalia incontra le stesse regole dello stipendio. Ossia, il pignoramento della parte eccedente il tetto di 672,78 euro può avvenire entro massimo 1/10 per pensioni non superiori a 2.500 euro; entro massimo 1/7 per pensioni tra 2.5001 e 5.000 euro; fino a 1/5 per pensioni superiori a 5.001 euro.

o        Il conto corrente: Equitalia non può pignorare l’ultimo emolumento di pensione o stipendio accreditato in conto al momento del pignoramento.
 

LIMITI PER I CREDITORI PRIVATI

Lo stipendio e la pensione: sono pignorabili entro massimo un quinto, fatto salvo, per la pensione, il minimo vitale.

  
LIMITI COMUNI A EQUITALIA E I CREDITORI PRIVATI

Il fondo patrimoniale: Equitalia può pignorarlo solo a condizione che il debito tributario derivi da esigenze della famiglia, come ad esempio il mancato pagamento delle imposte sulla casa o sul reddito del lavoratore il cui stipendio serve per mantenere la famiglia.

Tuttavia, se viene dimostrato che il debitore ha creato il fondo patrimoniale solo per evitare di pagare un debito già preesistente con Equitalia, quest’ultima può ugualmente pignorare i beni in esso contenuti previo esperimento della cosiddetta azione revocatoria.

Addirittura, se si tratta di un pignoramento iscritto entro un anno dalla costituzione del fondo stesso, non c’è neanche bisogno dell’azione revocatoria.

 

Il conto corrente su cui viene versato lo stipendio o la pensione:

a) per le somme già presenti sul conto all’atto in cui viene notificato il pignoramento, il creditore non può mai pignorare una importo pari al triplo l’assegno sociale (l’assegno sociale per il 2015 è pari a 448,52, per cui il triplo, impignorabile, è pari a 1.345,56);

b) per le somme successivamente accreditate dall’ente di previdenza o dal datore di lavoro, il pignoramento non può essere superiore a un quinto.

 

Il conto corrente su cui non viene versato solo lo stipendio o la pensione:

In questi casi il pignoramento delle somme già presenti in conto e dei successivi accrediti può essere del 100%.

 

Le polizze vita: non sono pignorabili.

 

 Non sono anche pignorabili: letti, tavoli da pranzo con le relative sedie, armadi guardaroba, cassettoni, frigorifero, stufe, fornelli di cucina anche se a gas o elettrici, lavatrice, utensili di casa e di cucina insieme ad un mobile idoneo a contenerli.

articolo estratto da "LLpT -la Legge per tutti" - 14/01/2016

giovedì 7 gennaio 2016


Mobbing: quando scatta e come si prova


Lavoro dipendente subordinato: presupposti e condizioni per la causa di mobbing in azienda nei confronti del datore di lavoro.

  Vessazioni in azienda: un capitolo spesso ricorrente nelle relazioni tra lavoratore e datore di lavoro, ma non tutte le condotte rientrano nel fenomeno del mobbing come spesso, invece, i lavoratori vorrebbero.
                Così è bene chiarire fino a quando il comportamento del datore è un semplice abuso isolato, comunque impugnabile davanti al giudice, oppure rientra nel mobbing e, in tal caso, consente al dipendente una tutela più ampia anche in termini di risarcimento.
                Poiché il datore di lavoro è tenuto, in generale, a preservare l’integrità fisica e morale del lavoratore, pena il risarcimento dell’eventuale danno (anche non patrimoniale), è anche obbligato a evitare comportamenti mobbizzanti, tanto nell’ipotesi in cui l’autore sia egli stesso, quanto invece il superiore gerarchico del singolo lavoratore.
                Nel mobbing rientrano quelle condotte vessatorie, reiterate e durature, rivolte nei confronti di un lavoratore ad opera di superiori gerarchici (mobbing verticale) e/o colleghi (mobbing orizzontale).

Secondo la Cassazione, perché scatti il mobbing è necessario che il comportamento illecito presenti le seguenti caratteristiche: [1]
– la sistematica protrazione nel tempo di una pluralità di atti anche di per sé – e singolarmente presi – legittimi. In pratica, la caratteristica del mobbing è quella di non esaurirsi in un singolo atto illecito, ma in un complesso di atti, tutti diretti al medesimo scopo che si protraggono nel tempo.      Di conseguenza, il mobbing non può realizzarsi attraverso una condotta istantanea. Un periodo di sei mesi è invece stato ritenuto sufficiente per integrare l’idoneità lesiva della condotta nel tempo [2];
 – la volontà che sta sotto tali atti, volta alla persecuzione o all’emarginazione del dipendente o – anche in assenza di un esplicito fine persecutorio – diretta a mortificare il lavoratore;
 – il danno al lavoratore sul piano professionale o sessuale o morale o psicologico o fisico;
 – il rapporto di causa-effetto tra il danno e la condotta del datore di lavoro: in pratica il pregiudizio all’integrità psicofisica del dipendente deve essere conseguenza immediata e diretta solo del comportamento mobbizzante e non di altro.

 Il datore di lavoro è responsabile per i comportamenti “mobbizzanti”:
                – da egli stesso realizzati in modo doloso;
                – posti in essere da altro dipendente (o in generale dai colleghi).         In questo caso la responsabilità del datore di lavoro sussiste anche in assenza di un suo specifico intento lesivo. Ciò in quanto egli ha il dovere di reprimere, di prevenire e di scoraggiare tali comportamenti.

Il datore di lavoro non evita la responsabilità dimostrando di aver adottato qualche semplice e tardivo intervento “pacificatore”, non seguito da concrete ed effettive misure e da vigilanza onde evitare che il fenomeno si ripeta.

 

Qualche esempio di mobbing

Facciamo qualche esempio di casi concreti in cui i giudici hanno ritenuto sussistente una condotta mobbizzante da parte dell’azienda:
 – riduzione ingiustificata dell’autonomia operativa e decisionale riservata al lavoratore: tale comportamento, infatti, di fronte a una precedente situazione di fiducia nei suoi confronti e a margini di manovra riconosciutigli dall’azienda, si traduce in una mortificazione sul piano professionale;
 – brusca e improvvisa interruzione della carriera professionale;
– ambiente di lavoro ostile: l’isolamento e l’emarginazione del lavoratore rispetto al contesto aziendale;
 – umiliazioni e pressioni psicologiche comportanti sofferenze morali, danni alla vita di relazione ed esaurimento nervoso; il tipico caso è quello del lavoratore messo costantemente in ridicolo davanti ai colleghi;
– demansionamento e successiva privazione di compiti; l’attribuzione di compiti dequalificanti volti solo a svilire le sue capacità e il bagaglio di conoscenze ormai acquisito;
 – la sistematica negazione di ferie e permessi o di richiesta di promozione, formalmente legittima, solo in apparenza giustificati dalle necessità dell’azienda, in realtà invece sorretti dall’intenzione di perseguire il dipendente, lederlo e denigrarlo;
– anche una perdurante situazione di tensione, derivante da sanzioni disciplinari illegittime, può essere considerata un’ipotesi di mobbing;
– adozione di provvedimenti disciplinari per ragioni strumentali ed in maniera sostanzialmente pretestuosa, amplificando l’importanza attribuita a fatti di modesta rilevanza con la specifica volontà di colpire la lavoratrice per indurla alle dimissioni, e/o per precostituire una base per disporre il suo licenziamento.

                                                                                          I sintomi del mobbing
Per evitare che vengano avviate cause di mobbing pur in assenza dei relativi presupposti, la Cassazione, in una importante sentenza [3], ha individuato quelle che sono le spie in presenza delle quali si può parlare di tale illecito:
 1- Ambiente di lavoro
La vessazione deve avvenire sul posto di lavoro e non all’esterno. Pertanto, la mortificazione fatta dal datore di lavoro al dipendente in una pubblica piazza o in una serie di incontri extralavorativi (cene, meeting, ecc.) non può rientrare nel mobbing.
2- Durata
L’intento persecutorio non deve esaurirsi in una o più singole condotte, ma deve durare nel tempo. La giurisprudenza ha ritenuto che il periodo minimo di durata delle vessazione, a partire dal quale può iniziare a parlarsi di mobbing, è di 6 mesi. Nel caso, invece, del cosiddetto “quick mobbing” (ossia di attacchi particolarmente frequenti ed intensi) il termine viene ridotto a 3 mesi.
3- Frequenza
Anche la cadenza delle vessazioni deve essere frequente e non limitarsi a sporadici episodi. Per esempio, non rientra nel mobbing un comportamento che, nell’arco di sei mesi, abbia visto solo tre episodi mobbizzanti. Secondo la giurisprudenza, il comportamento deve ripetersi con una cadenza periodica di almeno alcune volte al mese.
4- Azioni
Le azioni subite devono appartenere ad almeno due di cinque specifiche categorie:
– attacchi ai contatti umani e alla possibilità di comunicare;
– isolamento sistematico;
– cambiamenti nelle mansioni lavorative;
– attacchi alla reputazione;
– violenze e/o minacce di violenza.
Si veda il precedente paragrafo relativo agli esempi di mobbing.
5- Dislivello tra gli antagonisti
È necessario che la vittima sia in una posizione di inferiorità, di maggiore debolezza, non necessariamente riferita alla posizione gerarchica nell’organigramma aziendale. È sufficiente che il lavoratore non abbia strumenti propri per difendersi dalle strategie di attacco dell’azienda (salvo, ovviamente, il ricorso al giudice).
6- Andamento secondo fasi successive
È necessario che le condotte abbiamo raggiunto uno o più lavoratori specificamente individuati sino a fargli avvertire l’inasprimento delle relazioni interpersonali e un crescente disagio psicologico.
7- Intento persecutorio
Nella vicenda deve essere riscontrabile un disegno vessatorio coerente e finalizzato, chiaramente ostile e negativo.
 
                                                             Risarcimento del danno
In caso di mobbing accertato il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno. Il danno risarcibile può consistere nel:
– danno patrimoniale (eventuale perdita di guadagno, riduzione dello stipendio, cure mediche sostenute per curare la sindrome ansiosa e da stress, l’esaurimento nervoso, ecc.)
– danno alla salute fisica o psichica, danni morali, danni agli aspetti della personalità umana diversi dalla salute e riconosciuti dalla Costituzione (es.: il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa ecc.).

                                   Cosa deve dimostrare il lavoratore vittima di mobbing
Nell’ipotesi in cui si proceda in causa, davanti al Tribunale ordinario, sezione lavoro, il cosiddetto onere della prova è così ripartito:
 1- il datore di lavoro deve provare di avere adempiuto all’obbligo di protezione dell’integrità psico-fisica del lavoratore;
 2- il lavoratore, invece, deve solo provare:
 – un danno obiettivo alla sua integrità psico-fisica; non è sufficiente che l’evento sia percepito come lesivo dal lavoratore, ma in realtà – tenuto conto di un canone medio – non lo sia;
– il rapporto di causa-effetto (cosiddetto nesso di causalità) tra tale danno e l’espletamento della propria prestazione lavorativa.
 
                                             Prescrizione della causa di mobbing
La causa di mobbing può essere esercitata entro massimo 10 anni che iniziano a decorrere dalla manifestazione del danno (e non dall’inizio delle vessazioni). Spirato tale termine, il diritto al risarcimento del danno si prescrive.
-
[1] Cass. sent. n. 19782/2014, n. 12725/2013, n. 2711/2012, n. 12048/2011, n. 3785/2009.

[2] Cass. sent. n. 20046/2009, n. 22858/2008

[3] Cass. sent. n. 10037 del 15.05.2015 -


articolo estratto da "LLpT -la Legge per tutti" - 6/01/2016

martedì 5 gennaio 2016


Bolletta 2.0 luce e gas dal 2016: come funziona e a chi sarà utile?




Energia elettrica e riscaldamento: dal 1° gennaio 2016 arriva la bolletta 2.0 per luce e gas: documenti più sintetici e chiari, utili a capire se il nostro gestore è davvero conveniente o se è cambiarlo.

 Tolti vitto e alloggio, energia elettrica e gas in Italia sono le voci di spesa che più incidono sui budget delle famiglie. Il mercato offre (o pare offrire) contratti per la fornitura di energia elettrica e gas basati sulle proprie esigenze in modo “sartoriale”, e tanti utenti passano frequentemente da un gestore all’altro, dietro le promesse di vantaggiosissimi risparmi.

 Eppure per capire se l’ultima offerta cui abbiamo aderito è effettivamente vantaggiosa o meno dobbiamo attendere il primo conguaglio. Sarà lì che capiremo se davvero abbiamo fatto un affare o no. E spesso al momento del conguaglio gli utenti scoprono che la promessa mirabolante era una fandonia, ed è allora che tornano al gestore precedente, oppure cambiano gestore, o ancora tornano sul mercato di maggior tutela.

Un valzer continuo di passaggi contrattuali, faticosi per l’utenza, a tutto vantaggio dei fornitori e a scapito delle tasche dei consumatori. Di chi è la colpa? Gran parte della responsabilità è della assenza di chiarezza delle bollette. Eppure è tutto scritto sul contratto, e le bollette periodiche sono super-dettagliate. Non si può certo contestare che le informazioni in sé non sono state fornite, ma di certo non sono state fornite in modo chiaro. Al contrario, sono così incomprensibili che nessuno ci capisce niente.

 In aiuto degli utenti viene allora l’Autorità per l’Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico (AAEG), con la bolletta 2.0, in vigore dal 1° gennaio 2016. Pubblicità in tv, paginate sui giornali, ma la bolletta 2.0 dà o toglie chiarezza?

 

Le novità introdotte con la bolletta 2.0


La bolletta 2.0 introduce novità sia per il servizio di maggior tutela [1] che per il mercato libero [2].

Nella bolletta per il servizio di maggior tutela dovranno essere indicate, in maniera distinta:

– la voce “spesa per la materia energia/gas naturale”, che sostituirà le voci relative al servizio di vendita (consumi fruiti, relativi al prezzo dell’energia, della commercializzazione e vendita e del dispacciamento);
– la voce “spesa per il trasporto e la gestione del contatore”, che sostituirà le voci relative ai servizi di rete (ad esempio i costi di trasporto dell’energia elettrica sulle reti di trasmissione nazionali, di distribuzione locale e i costi di gestione del contatore);

 – la voce “spesa per oneri di sistema”, che metterà insieme varie voci oggi separatamente indicate in bolletta (ad esempio gli incentivi alle fonti rinnovabili e alle imprese a forte consumo di energia);

 – i ricalcoli effettuati a seguito di conguagli o di correzione di errori;

 – l’eventuale bonus sociale goduto dall’utente [3].

Nelle bollette relative ai contratti su mercato libero i gestori avranno più libertà nello strutturare la bolletta ma dovranno comunque indicare separatamente le voci che riguardano:

 – spese per il trasporto e la gestione del contatore e per gli oneri di sistema;
– ricalcoli relativi a conguagli o correzioni;
– partite delle quali va specificata la natura (ad esempio in caso di computo di indennizzi);
– l’eventuale bonus sociale goduto dall’utente [3].
In più, le bollette relative a contratti su mercato libero potranno contenere pubblicità su servizi affini a quello reso.

 Novità molto importante, che si applicherà sia ai contratti a maggior tutela che a quelli su libero mercato, riguarda i costi medi. Ogni bolletta 2.0 dovrà infatti indicare:

 – il “costo medio unitario della bolletta”, cioè il rapporto tra l’importo totale (tasse incluse) e i consumi fatturati;

 – il “costo medio unitario della sola spesa per la materia energia/gas naturale”, cioè il rapporto tra la voce di spesa “per la materia energia/gas naturale” e i consumi fatturati.

 Almeno una volta l’anno dovrà inoltre essere indicato in bolletta:

 – il dettaglio del consumo degli ultimi dodici mesi, in forma grafica chiara;

 – la data di attivazione della fornitura;

 – la data di attivazione di modifiche contrattuali;

 – la tensione di alimentazione (solo per l’energia elettrica).

 

 I fornitori di energia elettrica e gas dovranno poi rendere disponibile sul proprio sito internet una “guida” all’interpretazione della bolletta, consultabile anche sul sito dell’Autorità per l’Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico.

 

A chi sarà utile la bolletta 2.0

Come inciderà la bolletta 2.0 sulle famiglie? Quando la bolletta è troppo alta i problemi possono essere di due tipi (escludiamo ovviamente il caso in cui la bolletta è alta perché si consuma molta energia): o la bolletta non è corretta oppure, semplicemente, il costo dell’energia con quel fornitore è troppo alto.

 Il primo caso riguarda i problemi di correttezza della bolletta, vale a dire la mancanza di corrispondenza fra quanto effettivamente consumato e quanto fatturato dal gestore (si pensi ai malfunzionamenti del contatore, ai furti di energia elettrica o ancora ai casi di dispersione di energia per problemi relativi all’impianto elettrico).

 In questo caso la bolletta 2.0sintetica e con le voci raggruppate – non porterà vantaggi, anzi al contrario creerà un ulteriore ostacolo perché l’utente troverà in bolletta solo informazioni sintetiche e per avere il quadro della situazione chiaro dovrà contattare il venditore e chiedere che gli spedisca la bolletta in dettaglio, per poterne analizzare le singole voci e (sperare di) scoprire la fonte del problema.

La bolletta 2.0 porterà invece dei vantaggi, almeno sulla carta, poiché l’indicazione dei costi medi di consumo consentirà di avere un colpo d’occhio generale su quanto ci costano l’energia elettrica e il gas, e quindi di capire se esistono sul mercato fornitori che offrono prezzi più vantaggiosi.

Finora infatti la confusione ingenerata dalla miriade di voci presenti in bolletta non consentiva di comprendere effettivamente, e al di là delle spese fisse, quanto spendevamo. In linea di massima un gestore poteva apparire in prima battuta vantaggioso salvo poi scoprire, in fase di conguaglio, che così non era. Solo all’arrivo delle famigerate bollette di conguaglio era possibile capire se il cambio di gestore fatto di recente, che ci pareva – o ci veniva venduto – come estremamente vantaggioso e concorrenziale sul mercato, lo e’ effettivamente.

 In questo senso, la bolletta 2.0 porterà dei vantaggi perché consentirà a chi la riceve di avere, mese per mese, una percezione più chiara di quanto spende in media per l’energia elettrica ed il gas, e potrà quindi – in caso di costo eccessivo – orientarsi verso altri operatori presenti sul mercato.

 

In pratica


Cos’è il Bonus elettrico

È uno sconto sulla bolletta, introdotto dal Governo e reso operativo dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (Aeegsi) con la collaborazione dei Comuni, per assicurare un risparmio sulla spesa per l’energia alle famiglie in condizione di disagio economico e fisico e alle famiglie numerose.

Cos’è il KWh

È l’unità di misura dell’energia elettrica. Rappresenta l’energia assorbita in un’ora da un apparecchio avente la potenza di 1 kW. Nella bolletta domestica i consumi di energia elettrica sono fatturati in kWh.Per le imprese l’unità di misura è il megawattora.

Cosa sono gli oneri di sistema

All’interno dei servizi di rete, vengono dettagliati una volta all’anno in bolletta. Servono per pagare oneri introdotti da diverse leggi e Dm. In ordine di incidenza sulla bolletta sono: incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate (componente A3) ; promozione dell’efficienza energetica ( c7); oneri per la messa in sicurezza del nucleare e compensazioni territoriali (A2 e Mct); copertura delle agevolazioni tariffarie riconosciute per il settore ferroviario (A4); compensazioni per le imprese elettriche minori (Uc4); sostegno alla ricerca di sistema ( A5); copertura bonus elettrico (As); copertura agevolazioni per le imprese a forte consumo di energia elettrica (Ae).

Cosa sono i servizi di rete

Sono le attività di trasporto dell’energia elettrica sulle reti di trasmissione nazionali, di distribuzione locale e comprendono la gestione del contatore. Per i servizi di rete non si paga un prezzo (come per l’energia) ma una tariffa fissata dall’Autorità sulla base di precisi indicatori, con criteri uniformi su tutto il territorio nazionale, tenendo conto di inflazione, investimenti realizzati e obiettivi di recupero di efficienza.

Cosa sono i servizi di vendita

Sono la principale voce di costo della bolletta dell’utente domestico tipo (consumi annui pari a 2.700 kWh e potenza pari a 3 kW) residente e servito in maggior tutela.

Comprendono tutti i servizi e le attività svolte dal fornitore per acquistare e rivendere l’energia elettrica ai clienti.

Sono suddivisi in tre principali voci di spesa: prezzo dell’energia; prezzo commercializzazione e vendita; prezzo del dispacciamento. È sui servizi di vendita che si gioca la concorrenza e quindi la possibilità di risparmiare a seconda delle offerte commerciali dei diversi fornitori sul mercato libero.

articolo estratto da "LLpT -la Legge per tutti" - autrice : Emmanuela Bertucci -4/01/2016