venerdì 29 luglio 2016


Sorpasso a destra: è consentito?


Si può sorpassare a destra un’auto in una strada a due o a tre corsie o all’incrocio se quella davanti sta svoltando a sinistra?

 È possibile sorpassare a destra un’altra auto che sta davanti? In quali casi è consentito dal codice della strada e, in caso contrario, quali sono le sanzioni?

 

In via generale il codice della strada [1] vieta il sorpasso a destra, salvo laddove ciò sia espressamente consentito, e per tale infrazione stabilisce una multa da 81 a 326 euro. Ma procediamo con ordine.

 

Sorpasso a destra se la corsia a sinistra di sorpasso è occupata


Capita molto spesso, in autostrada o su strade statali a due o a tre corsie, di vedere gente che guida tranquillamente sulle corsie di sorpasso (sulla seconda o addirittura anche sulla terza), andando a una velocità ridotta, così ostacolando chi ha più fretta e che, pur senza violare i limiti di velocità, potrebbe voler superare. Nel caso in cui la corsia a sinistra, destinata al sorpasso, sia occupata da un’auto che procede lentamente, è possibile superare questa a destra senza creare pericolo alla circolazione?

 Il sorpasso si ha quando un veicolo ne supera un altro – che lo precede nella stessa corsia di marcia – e presuppone necessariamente uno spostamento laterale del veicolo che effettua la relativa manovra. Come abbiamo anticipato in apertura, il sorpasso a destra è vietato, salvo nei casi espressamente previsti dalla legge ossia:

 

·         se il veicolo da sorpassare ha già segnalato con le frecce e iniziato una svolta a sinistra: in tal caso, chi viene da dietro può superarlo a destra;

·         se c’è un tram circolante in sede stradale non riservata e i veicoli circolano per file parallele.

 

 In caso di strada a più corsie (due o tre corsie, situazione che ricorre soprattutto in autostrada) l’automobilista è obbligato a posizionarsi su quella più libera a destra; la corsia o le corsie di sinistra sono infatti riservate al sorpasso. In autostrada, pertanto, non si può sorpassare un veicolo che procede ad andatura lenta in seconda corsia, lasciando libera la prima. Chi intende sorpassare l’auto che si trova in corsia di sorpasso e procede lenta può segnalargli tale intenzione attraverso i lampeggianti (uso intermittente dei proiettori di profondità) o con il clacson.

 In relazione al superamento del veicolo senza spostamento laterale, qualora il veicolo da sorpassare proceda sulla sinistra e il veicolo sopraggiungente lo superi mantenendosi sulla propria destra, autorevole dottrina ritiene che tale manovra non sia da considerarsi un sorpasso in senso tecnico, non essendovi uno spostamento laterale da parte del veicolo sorpassante, per cui non ritiene applicabili la norma del codice della strada [1] che sanziona il sorpasso a destra fuori dei casi consentiti.

 

 La Cassazione si è espressa in modo alterno. Una prima volta [2] ha detto che il divieto di sorpasso a destra è operante anche quando il conducente del veicolo, che sta davanti, violi le regole della mano da tenere prescritte dal Codice della strada. Successivamente, la stessa Cassazione [3] ha cambiato indirizzo affermando che il sorpasso a destra può essere lecito quando il veicolo, che precede, si mantenga ostinatamente a sinistra e non accenni a portarsi sulla parte destra della carreggiata.

Il conducente che effettua il sorpasso, però, deve approssimarsi all’altro veicolo con cautela e, solo dopo avere acquistato la ragionevole certezza che lo stesso non si vuole spostare sulla destra, potrà effettuare il sorpasso.

 

 Sorpasso a destra se l’auto sta svoltando a sinistra

La Cassazione ha detto [4] che, in materia di circolazione stradale, non è vietato dal codice della strada il superamento a destra di un veicolo fermo all’incrocio, il cui conducente abbia segnalato l’intenzione di svoltare a sinistra e sia in attesa di completare la manovra. L’auto che sta di dietro, quindi, per anticipare la manovra di chi gli sta davanti, lo può superare a destra ma deve farlo con la massima prudenza per evitare incidenti e rispettando a sua volta la precedenza ai veicoli provenienti da destra.

 

Come si fa un sorpasso?


Lo stesso codice della strada definisce il sorpasso come la manovra mediante la quale un veicolo supera un altro veicolo, un animale o un pedone in movimento o fermi sulla corsia o sulla parte della carreggiata destinata normalmente alla circolazione.

 Il conducente che intende effettuare un sorpasso deve prima accertarsi:

  • che la visibilità sia tale da consentire la manovra e che la stessa possa compiersi senza costituire pericolo o intralcio;
  • che il conducente che lo precede nella stessa corsia non abbia segnalato di voler compiere analoga manovra: pertanto è vietato (oltreché estremamente pericoloso) sorpassare un mezzo che ha già attivato le frecce per segnalare l’invasione della carreggiata di sinistra o che sia già in fase di sorpasso;
  • che nessun conducente che segue sulla stessa carreggiata o semicarreggiata, ovvero sulla corsia immediatamente alla propria sinistra, qualora la carreggiata o semicarreggiata siano suddivise in corsie, abbia iniziato il sorpasso;
  • che la strada sia libera per uno spazio tale da consentire la completa esecuzione del sorpasso, tenuto anche conto della differenza tra la propria velocità e quella dell’utente da sorpassare, nonché della presenza di utenti che sopraggiungono dalla direzione contraria o che precedono l’utente da sorpassare.

 Il conducente che sorpassa un’altra auto sulla stessa corsia, dopo aver attivato le frecce, deve portarsi sulla sinistra, superarla rapidamente tenendosi da questa ad una adeguata distanza laterale e riportarsi a destra appena possibile, senza creare pericolo o intralcio. Se la carreggiata o semicarreggiata sono suddivise in più corsie, il sorpasso deve essere effettuato sulla corsia immediatamente alla sinistra del veicolo che si intende superare.

Contrariamente a quanto purtroppo avviene, chi si accorge di un’altra auto che lo sta per superare deve facilitare tale manovra e non, invece, accelerare. Nelle strade con una sola corsia di marcia, chi sta per essere superato deve tenersi il più vicino possibile al margine destro della carreggiata.

- articolo estratto da "LLpT -la Legge per tutti" - 28/07/2016

giovedì 28 luglio 2016


Dipendenti statali: addio al posto fisso


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Da febbraio 2017 gli impiegati pubblici potrebbero perdere alcuni privilegi, tra cui la sicurezza del lavoro. Spariscono gli scatti di anzianità.

Il mito del lavoro fisso alle dipendenze dello Stato sta per crollare. Da febbraio 2017 gli impiegati pubblici potrebbero dire addio al posto sicuro, come prevede il testo unico in materia, collegato alla riforma Madia della Pubblica Amministrazione. In sostanza, ogni ente pubblico deve comunicare annualmente al Ministero le eccedenze di personale rispetto alle reali esigenze o alla situazione finanziaria. In altre parole, se il bilancio non consente di tenere del personale in eccesso o poco funzionale, il taglio sarà assicurato.

 
La nuova normativa assomiglia, in parte, a quella in vigore sul settore privato. In parte, perché un’azienda privata spesso ricorre alla riduzione del personale come prima scelta. I dipendenti pubblici, invece, prima di essere lasciati a casa, possono essere spostati immediatamente presso un altro ufficio nel raggio di 50 chilometri di distanza attraverso il meccanismo della mobilità obbligatoria. Se ciò non fosse possibile, perché non ci sono dei posti disponibili in altre strutture, vengono messi in “disponibilitàper 2 anni: restano a casa con l’80% dello stipendio ed i relativi contributi previdenziali. I dirigenti che non bloccano le assunzioni o che non comunicano le eccedenze rischiano un procedimento disciplinare.

Questi 2 anni, però, non sono una parentesi nel rapporto di lavoro tra i dipendenti in eccesso e la Pubblica Amministrazione: servono all’impiegato pubblico ad avere il tempo retribuito a sufficienza per trovare un’altra collocazione, anche in un ufficio pubblico, con stipendio più basso o inquadramento minore. Perché comunque, se così non fosse, allo scadere dei due anni il rapporto stesso verrà considerato definitivamente risolto.


Dipendenti pubblici: spariscono gli scatti di anzianità

Finora gli scatti di anzianità degli impiegati statali sono congelati. Da febbraio 2017, invece, dovrebbero sparire del tutto. Con le nuove regole, i dipendenti pubblici verranno valutati annualmente dal loro dirigente in base al lavoro svolto. Se sarà stato soddisfacente, il responsabile potrà suggerire un aumento retributivo vincolato alle risorse economiche a disposizione e, comunque, non può interessare più del 20% dei dipendenti impegnati in ogni amministrazione. Insomma, 2 su 10 ce la fanno. Come ai tempi di Fantozzi o di Totò, la corsa a scavalcare il collega per avere l’aumento può avere inizio.

 

Riforma del pubblico impiego: altre novità

Perdita del posto fisso e degli scatti di anzianità non sono le uniche novità del testo unico sulla riforma del pubblico impiego. E’ anche previsto, ad esempio, che gli aspiranti ad un posto come impiegato statale conoscano obbligatoriamente la lingua inglese in fase di colloquio. Viene velocizzato il procedimento disciplinare e introdotta la visita fiscale automatica per le assenze fatte per malattia al venerdì o nei giorni prefestivi. Ovvero, addio al fine settimana lungo dei furbetti. Infine, l’indennità di trasferta sarà cancellata ed i buoni pasto saranno uguali per tutti: da febbraio 2017 gli impiegati pubblici mangeranno a spese dello Stato con 7 euro.

 - articolo estratto da "LLpT -la Legge per tutti" - 27/07/2016

 

 

 

venerdì 22 luglio 2016


Il lavoro a cottimo è legale?


Quando il lavoratore viene pagato sulla base di quanto produce e lavora: il cottimo è legale in Italia.

 Il lavoratore non può essere sfruttato e, quindi, pagato sulla base di quanto produce: tuttavia il lavoro a cottimo è legale entro determinate forme e limiti. Ma procediamo con ordine.

 
 
 
 
 Normalmente il lavoratore viene pagato

– a tempo;

a cottimo;

– in natura;

– a provvigioni;

– con partecipazioni agli utili e ai prodotti.

 Sicuramente la forma ordinaria di pagamento è la retribuzione a tempo: in pratica, la busta paga viene rapportata a quanto tempo il dipendente ha passato in azienda a lavorare o, comunque, ha prestato la propria attività per conto del datore. Il termine di riferimento può essere l’ora, la giornata, la settimana, la quindicina, il mese o l’anno (nel caso delle mensilità aggiuntive). Nella pratica il tipo di retribuzione più adottata, anche nei confronti degli operai, è la retribuzione mensile.

 Il lavoro a cottimo: cos’è?

Quando si parla di lavoro a cottimo ci si riferisce ai casi in cui il lavoratore viene retribuito in base alla quantità di lavoro prodotto [1]. In pratica, con il lavoro a cottimo la retribuzione collegata all’effettivo risultato dell’attività lavorativa nell’unità di tempo.

 Il lavoro a cottimo non può costituire il livello di paga base del dipendente, ma solo una integrazione della normale retribuzione a tempo (si applica normalmente al personale operaio).

Solo nel caso del lavoro a domicilio esiste una forma di cottimo pieno. In tutti gli altri casi, il cottimo non può essere il riferimento principale per calcolare la retribuzione. È possibile dunque solo il cosiddetto “cottimo misto“: in forza di ciò, il lavoratore viene compensato con un importo fisso mensile (retribuzione contrattuale, sia essa mensilizzata ovvero oraria) incrementato di:

 – una somma a titolo di cottimo garantito in percentuale, corrisposto esclusivamente nel caso cui il lavoratore raggiunga un limite minimo di produzione;

– un importo variabile (cottimo effettivo), che rappresenta un elemento ulteriore della retribuzione va effettivamente a premiare il lavoratore in relazione alla propria produttività.

  

Quando è obbligatorio il lavoro a cottimo?


Il ricorso alla retribuzione a cottimo è obbligatorio quando:

– in conseguenza dell’organizzazione del lavoro, l’operaio sia vincolato all’osservanza di un determinato ritmo produttivo;

– oppure quando la valutazione della prestazione dell’operaio avvenga in base al risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione.

 
L’obbligatorietà del cottimo si verifica soltanto quando è richiesta al lavoratore una prestazione più intensa di quella del normale lavoro in economia o la realizzazione di un risultato produttivo predeterminato, superiore a quello conseguibile in detta ipotesi normale. Un incremento della produttività aziendale, conseguente ad esempio all’introduzione di un nuovo macchinario, non obbliga il datore di lavoro a retribuire i propri operai a cottimo, essendo sufficiente un aumento in percentuale fissa della paga base [2].

 

Quanto viene pagato il lavoro a cottimo?


A stabilire la retribuzione a cottimo sono i contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl).

In realtà i contratti collettivi in generale si limitano a fissare il cosiddetto utile o minimo di cottimo, ossia una percentuale del minimo di paga base che l’azienda è tenuta a corrispondere in conseguenza del maggior rendimento del cottimista.

 

Ai fini del calcolo del cottimo misto, può essere stabilito convenzionalmente che la paga base di riferimento del lavoratore a tempo di pari categoria sia 100 e a questa corrisponda una quantità prodotta pari a 40. Normalmente ad ogni livello di retribuzione e quantità prodotta corrisponde il tempo che viene impiegato da un lavoratore di normale diligenza per compiere quel lavoro.

  

Quali obblighi gravano sul lavoratore a cottimo?


 

Il lavoratore pagato con il sistema del cottimo misto deve effettuare una prestazione pari a quella prevista per il realizzo del minimo di cottimo: non è sufficiente lavorare a livello di rendimento minimo equivalente a quello dei lavoratori pagati a tempo [3].

Se il cottimista realizza uno sciopero di rendimento, consistente nel lavorare al livello di rendimento minimo previsto per i lavoratori pagati a tempo, il datore di lavoro può ridurre proporzionalmente la sua parte fissa di retribuzione [4].

 

Quali obblighi gravano sull’azienda in caso di cottimo?


 

L’azienda deve comunicare in anticipo al lavoratore:

 – i dati relativi agli elementi costitutivi della tariffa;

– le lavorazioni da eseguire;

– il compenso;

– la quantità di lavoro e il tempo da impiegare per realizzarlo.

- articolo estratto da "LLpT -la Legge per tutti" - 21/07/2016

 

 

Il lavoro dipendente può essere gratuito?

Un amico ha lavorato per qualche giorno nella mia azienda, inizialmente sostenendo che lo avrebbe fatto gratis, ma ora pretende il pagamento: come posso difendermi?

 Il contratto di lavoro subordinato si presume sempre a titolo oneroso [1] ossia eseguito a pagamento; tuttavia è anche possibile il contrario, ossia che una prestazione lavorativa venga svolta gratis, ossia con rinuncia – da parte del prestatore d’opera – al diritto alla retribuzione. Tuttavia tale accordo – che non deve necessariamente essere scritto – va comunque dimostrato dal titolare dell’azienda o dal soggetto che ha usufruito dell’opera. Quest’ultimo deve cioè provare, in caso di richiesta di pagamento da parte del lavoratore, che la prestazione ricevuta è stata effettuata a titolo gratuito, per benevolenza, amicizia, rapporti di familiarità o parentela o in vista di vantaggi indiretti per il prestatore di lavoro (ad esempio: per imparare il mestiere o per acquisire una propria clientela).

Dunque, almeno in linea teorica, è sempre possibile il lavoro gratuito, ma va dimostrato. Prova che, comunque, in assenza di un patto scritto, risulta non sempre facile. E peraltro, anche l’eventuale presenza di una scrittura privata con cui il lavoratore dichiari di rinunciare alla paga non libera completamente il datore di lavoro, qualora venga dimostrato che tale documento è stato firmato solo per eludere le norme a tutela del lavoratore e costringere quest’ultimo a una prestazione lavorativa “in nero”. In buona sostanza ciò che conta, più delle carte, è come effettivamente sono andati i fatti e i termini e la misura in cui essi possono essere dimostrati davanti al giudice.

 È anche vero che il contratto di lavoro non deve essere necessariamente scritto, potendo essere eseguito direttamente, con un semplice accordo verbale (fatte salve le sanzioni per l’azienda che non abbia “denunciato” il lavoratore, regolarizzandolo ed effettuando tutte le comunicazioni previste dalla legge). Il fatto che il rapporto di lavoro si sia instaurato oralmente o in violazione delle norme sulle assunzioni non implica il venir meno del diritto alla retribuzione del dipendente, che pertanto potrà pretendere ugualmente – anche se “a nero” – di essere pagato. Nel diritto di lavoro sussiste infatti il cosiddetto “principio di effettività” in virtù del quale non conta tanto l’aspetto formale di come si è instaurato il rapporto contrattuale, ma l’esecuzione materiale della prestazione lavorativa che fa automaticamente scattare il diritto alla retribuzione.

 Vi sono rapporti che presentano aspetti comuni con quello di lavoro subordinato, ma che si distinguono dallo stesso per la gratuità della prestazione lavorativa: si tratta del:

  • lavoro familiare
  • del rapporto di volontariato (come ad esempio nel caso di simpatizzanti di partiti e sindacati o di volontari in organismi di beneficenza e aiuto sociale).

In via generale si presume sempre gratuito il lavoro prestato dai praticanti [2].

 Dal punto di vista contributivo le prestazioni gratuite non configurano un rapporto di lavoro e non determinano alcun obbligo nei confronti dell’INPS [3].

 In via generale, il datore di lavoro ha l’obbligo di corrispondere la retribuzione a fronte della prestazione resa dal lavoratore. Fanno eccezione alcuni casi in cui per assenza del lavoratore la prestazione manca ma al lavoratore spetta comunque la retribuzione ed altri casi in cui per impossibilità sopravvenuta la prestazione non viene resa ed il datore di lavoro, talvolta, è esonerato dal pagamento della retribuzione.

 - articolo estratto da "LLpT -la Legge per tutti" - 21/07/2016

martedì 19 luglio 2016



Truffe online: la banca ci può controllare via web


Il Garante per la Privacy autorizza le banche a spiare online i movimenti dei clienti. A patto che i dati vengano protetti e che il consenso sia esplicito.

 Accedere al conto corrente online o ai movimenti della carta di credito non sono soltanto affari del cliente di una banca ma anche della banca stessa. L’Autorità Garante della Privacy autorizza gli istituti di credito a spiare il cliente via Internet. A certe condizioni, la banca, tramite un software ed un partner tecnologico, è legittimamente in grado di osservare tutto ciò che facciamo sul web e che interessa il rapporto tra banca e cliente. Perfino quanto tempo si resta collegati, dove si clicca, come si reagisce ad una presunta anomalia.

 Non si tratta per forza di pura curiosità o di spionaggio da parte di chi custodisce i nostri soldi. La banca, conosciute le abitudini di navigazione del cliente, è in grado di capire se qualche furbetto si intrufola nella pagina di un altro con le sue credenziali per svuotargli il conto corrente o la carta di credito.

Quali possono essere questi comportamenti anomali in grado di insospettire la banca? Ad esempio, digitare sulla tastiera in modo più lento di quello abituale. Oppure usare un browser per l’accesso a Internet che non era mai stato utilizzato prima. Addirittura tenere il cellulare o il tablet in una posizione inusuale oppure muovere il mouse diversamente dal solito. Il software della banca riesce a vedere tutti questi comportamenti. Per motivi di sicurezza.

 L’unica cosa che il Garante chiede è che il cliente abbia ben chiaro che qualcuno lo sta osservando mentre naviga sulla sua pagina personale del sito della banca.
 
 Conto corrente controllato online: a quali condizioni
Il Garante per la Privacy, dunque, dà il consenso a quello che viene chiamato “controllo biometrico del cliente”, cioè allo studio dei movimenti di navigazione del cliente stesso ogni volta che accede al suo profilo online. Chiede, però, che l’istituto informi il cliente del fatto che sarà controllato. Il cliente, pertanto, dovrà esprimere un consenso esplicito attraverso un’informativa che spiega chiaramente le condizioni di questo sistema.

 Per esempio, i dati raccolti dalla banca su ogni navigazione del cliente passeranno dall’istituto ai database del suo partner tecnologico attraverso dei canali criptati. Questi canali restano protetti da eventuali intrusioni da parte di qualche malintenzionato.

 Tanto per cominciare, il partner tecnologico della banca non può accedere ai dati anagrafici del cliente. In questo modo, sarà impossibile collegare comportamenti con nomi e volti.

Inoltre, a lungo andare, quando il profilo delle abitudini del cliente sarà, ormai, tracciato, il controllo da parte della banca diminuirà. Nella banca dati resteranno soltanto gli elementi necessari a scoprire eventuali truffe. Poi verranno eliminati. Le navigazioni del cliente spariranno dalla banca dati entro 30 giorni anche quando verrà chiuso il conto corrente oppure si rinunci ai servizi online.

 Per il Garante della Privacy, il controllo mirato delle banche sulla navigazione dei propri clienti è legittimato dalla giurisprudenza. Diversi tribunali [1] hanno sentenziato che devono essere messe, da parte degli istituti di credito, delle barriere “anche innovative e sofisticate” contro le intrusioni e le truffe online. Quelle barriere vanno viste, dunque, a parere del Garante, come prove dello scrupolo della banca nella protezione del cliente.

- articolo estratto da "LLpT -la Legge per tutti" - 18/07/2016

 

Banca online: un software contro le frodi informatiche sul conto

richiedi consulenzaHome banking: analisi comportamentale per evitare le truffe e il prosciugamento del conto corrente.

 Non tutti ne sono ancora a conoscenza, ma le banche stanno sperimentando un sofisticatissimo software, basato sull’analisi delle informazioni biometriche-comportamentali dei clienti che utilizzano la banca telematica (effettuando cioè pagamenti e bonifici online): ciò al fine di evitare i furti d’identità le frodi telematiche operate da chi, riuscendo a captare username e password del servizio di home banking dei correntisti, riesca a depredare i depositi lasciando il conto a secco. Questo sistema riesce ad analizzare e riconoscere alcuni dati biometrici come la pressione sul touch screen o i movimenti del mouse, in occasione della navigazione dell’utente nell’area privata della propria internet banking.

 Questo sistema si propone di innalzare i livelli di tutela attualmente previsti (come password per l’accesso al conto corrente on line, oppure one time password per bonifici e altre operazioni) con nuove modalità di “identificazione” dell’utente.

Le banche lavoreranno con un partner tecnologico in grado di generare profili univoci dei propri clienti, raccogliendo i dati sensibili di questi ultimi in base all’analisi del loro comportamento durante le sessioni di lavoro effettuate nell’area riservata del sito di internet banking. Detto in parole ancora più semplici verranno estrapolate informazioni assai specifiche sulle azioni spontanee dell’utente, come i movimenti del mouse (incluse reazioni inconsce a “interferenze” prodotte appositamente dal sistema), la pressione del dito su schermi touch, oppure la velocità di digitazione sulla tastiera. Tali dati biometrici sono combinati con altre informazioni relative alla tecnologia usata per collegarsi (pc, tablet, smartphone), come i parametri del sistema operativo e del browser di navigazione.

Ogni volta che il cliente si ricollega ai servizi bancari on line, il sistema provvede a comparare le caratteristiche della sua navigazione sul sito con quelle associate al profilo in memoria, così da individuare eventuali tentativi di accesso illecito ai conti on-line, informandone i clienti ed eventualmente inibendo determinate operazioni.

 Questo sistema è stato posto all’attenzione del Garante della Privacy affinché dia il proprio parere e l’Authority ha riconosciuto l’importanza delle finalità perseguite dalla banca a garanzia della sicurezza dei servizi on-line ma, proprio per la delicatezza dei dati personali trattati, ha vincolato l’attivazione del nuovo sistema alla rigorosa osservanza delle misure individuate a tutela della privacy degli interessati.

 - articolo estratto da "LLpT -la Legge per tutti" - 14/07/2016

 

martedì 5 luglio 2016

Facebook: "Tutto quello che avete postato diventa pubblico". È una bufala!


Facebook: "Tutto quello che avete postato diventa pubblico". È una bufala!


La polizia di Stato smentisce e invita a non copiare e incollare

di Marina Crisafi – Se ricevete un messaggio che vi preannuncia che tutto ciò che avete postato su Facebook da domani diventerà pubblico, invitandovi a condividere non credeteci. Come avvisa la polizia di Stato sulla sua pagina "Una vita da social" si tratta dell'ennesima bufala che sta girando sui social e che sta allarmando gli utenti.

Il messaggio diffuso, dato che molti lo stanno copiando e incollando sul proprio profilo, è il seguente:

"Scadenza domani!!! Tutto quello che avete postato diventa pubblico da domani. Anche i messaggi che sono stati eliminati o le foto non autorizzate. Non costa nulla per un semplice copia e incolla, meglio prevenire che curare. Canale 13 ha parlato del cambiamento nella normativa sulla privacy di Facebook. Io non do facebook o qualsiasi entità associata a facebook il permesso di usare le mie immagini, informazioni, i messaggi o i post, passato e futuro. Con questa dichiarazione, do avviso a Facebook che è severamente vietato divulgare, copiare, distribuire, trasmettere o prendere qualsiasi altra azione contro di me sulla base di questo profilo e / o il suo contenuto. Il contenuto di questo profilo è privato e le informazioni riservate. La violazione della privacy può essere punita dalla legge (UCC 1-308-1 1 308-103 e lo statuto di Roma). Nota: Facebook è ora un'entità pubblica. Tutti i membri devono pubblicare una nota come questa. Se preferisci, puoi copiare e incollare questa versione. Se non pubblichi una dichiarazione almeno una volta, Sara ' tatticamente permettendo l'uso delle tue foto, così come le informazioni contenute negli aggiornamenti di stato di profilo. Non condivido. Copia e incolla per stare sul sicuro".

Ovviamente, c'è da stare tranquilli non essendoci nulla di vero, ma la Polizia avvisa comunque "copiando e incollando questo stato contribuirete solo a divulgare la solita #catenadisantantonio".

 articolo estratto da "www.Studio Cataldi.it" - 04/07/2016