giovedì 7 aprile 2016


Come disdire i contributi al sindacato


Trattenute sindacali su stipendio, pensione e disoccupazione: come revocare la quota associativa.
Tra le numerose ritenute che gravano le buste paga, oltre a contributi previdenziali e assistenziali, Irpef e addizionali, può essere presente anche una quota associativa: si tratta del contributo al sindacato. La trattenuta può essere effettuata sugli stipendi, sulle pensioni e sui trattamenti a sostegno del reddito, come la disoccupazione, ma soltanto su base volontaria: è dunque indispensabile, perché sia operata la ritenuta sindacale, che il lavoratore abbia aderito all’associazione.

In alcuni casi, però, l’interessato non ricorda di essersi iscritto ad un sindacato e ritiene che le trattenute siano state effettuate senza il suo consenso. Questo può accadere quando il cittadino, nella richiesta di disoccupazione, di pensione o di un altro trattamento presso un patronato, firmi anche il modulo per autorizzare i contributi sindacali nei cedolini di pagamento. Lo stesso può succedere quando il lavoratore richiede delle pratiche presso gli sportelli Caf dei sindacati ed aderisce contestualmente all’associazione, per poter usufruire di sconti sui servizi.
Quindi le ritenute sindacali non sono mai subite senza il consenso del lavoratore o del pensionato, perché devono sempre essere giustificate da richieste regolarmente firmate: accade spesso, però, che chi firma non presti attenzione e non si ricordi, di conseguenza, di aver autorizzato il prelievo dei contributi sindacali sullo stipendio o sulla pensione.

Tra l’altro l’adesione, una volta effettuata, non ha bisogno di essere confermata, ma si rinnova automaticamente, di anno in anno: così, è possibile che ci si ritrovi a pagare quote associative per un’iscrizione risalente a periodi datati.

Se le ritenute sono state autorizzate “distrattamente”, oppure se non si è più interessati a fruire dei servizi del sindacato, o ancora, se si vuole cambiare organizzazione sindacale, è possibile disdire la tessera e le relative trattenute?
 
  Come revocare le ritenute sindacali

La risposta è affermativa: la trattenuta delle quote associative sullo stipendio può essere sempre revocata, ma le procedure da utilizzare per la revoca sono differenti a seconda del trattamento gravato dalle ritenute.
In ogni caso, sia che parliamo di stipendi, di pensioni o di altre prestazioni, deve essere inviata una comunicazione in duplice copia al datore di lavoro o all’ente che eroga il trattamento ed al sindacato

  Come disdire le ritenute sindacali sullo stipendio

Se un dipendente di un’azienda privata vuole revocare la ritenuta sindacale deve, innanzitutto, inviare una raccomandata al datore di lavoro, o all’amministrazione/ ufficio paghe/ufficio del personale dell’impresa: il datore di lavoro non può rifiutarsi di effettuare la trattenuta sindacale sullo stipendio, difatti, sino a che il lavoratore non comunichi la sua volontà contraria. Il dipendente deve poi inviare una seconda raccomandata al sindacato, per conoscenza. La revoca ha effetto immediato.
Per sapere come compilare la revoca della ritenuta sullo stipendio, si veda il modulo di disdetta della trattenuta sindacale, allegato alla fine dell’articolo.

  Come disdire le ritenute sindacali sullo stipendio: dipendenti scuola

La procedura di revoca delle ritenute sullo stipendio è differente per gli insegnanti ed i dipendenti pubblici appartenenti al comparto scuola: questi, infatti, devono inviare il modulo di revoca sindacale alla Ragioneria Territoriale della provincia nella quale lavorano. È importante che nel modulo di disdetta siano indicati il numero di partita fissa del cedolino ed il sindacato al quale si vuole revocare la delega. Anche in questo caso, si deve poi inoltrare una seconda raccomandata al sindacato per conoscenza. La disdetta ha effetto immediato.
Come disdire le ritenute sindacali sulla pensione o sulla disoccupazione

Se i contributi sindacali sono trattenuti sulla pensione, sulla disoccupazione o su un altro  trattamento corrisposto dall’Inps, l’interessato deve inviare una raccomandata, redatta in carta semplice, alla propria sede Inps territoriale, allegando copia del proprio documento d’identità.

Ricevuta la richiesta di revoca, l’Istituto interrompe le trattenute con le seguenti decorrenze:

 – dal 1° aprile, per le disdette ricevute dal 16 dicembre al 15 marzo dell’anno successivo;
– dal 1° luglio, per le revoche ricevute dal 16 marzo al 15 giugno;
– dal 1° ottobre per le disdette ricevute dal 16 giugno al 15 settembre;
– dal 1° gennaio dell’anno successivo, per le revoche ricevute dal 16 settembre al 15 dicembre.



Modello di disdetta delle ritenute sindacali- Lavoratori privati
 

Dati lavoratore

Spett.le società/ditta……………………

Ufficio del Personale……………….

e.p.c. Organizz. Sindacale………………

 

Oggetto: revoca dell’adesione all’Organizzazione Sindacale……………; conseguente revoca delle ritenute per quota associativa.

Il/la sottoscritta/o …………………………………………………… C.F. ……….. Nato/a a ………………. il …………. residente in …………………………. , C.A.P. ……… , via ……………. n° ….. , tel. …………. , dipendente dell’Azienda ……………………… , Settore/Reparto/Unità/Gruppo ………………. , sede di lavoro ………. , qualifica ……………………………

Revoca ad ogni effetto di legge e di contratto la delega conferita a codesta ditta, ai sensi dell’art. 26 S.L. e del Vigente CCNL……… per il versamento dei contributi sindacali in favore dell’ Org. Sindacale ….. La revoca ha effetto immediato.

Diffido espressamente questa azienda dal procedere ad ulteriori trattenute a tale titolo, in favore della stessa organizzazione sindacale, posto che le ritenute, ove effettuate, integrerebbero il reato di appropriazione indebita.

 Luogo, Data …………

                                                                                                          Firma ……………….

 

- articolo estratto da "LLpT -la Legge per tutti" - 06/04/2016

martedì 5 aprile 2016


Offerte di lavoro truffa, quali sono e come difendersi


Truffe nella ricerca di lavoro: come scoprire le offerte false più diffuse e difendersi.

 Con l’attuale crisi del mercato del lavoro, a crescere non è solo il numero di persone alla ricerca d’impiego, ma anche il business delle truffe alle loro spalle.
Si inizia dalle aziende che cedono illecitamente i dati di chi si è iscritto alle finte offerte di lavoro, sino ad arrivare a chi estorce dei soldi con la promessa di un impiego che non arriverà mai.
In questo breve vademecum abbiamo stilato un decalogo con le più diffuse offerte-truffa ed i rimedi per difendersi.

  Offerte di lavoro truffa: le più diffuse

Ecco le offerte truffa più comuni da cui guardarsi:
 – 1) annuncio in cui si chiede di chiamare un numero a pagamento per avere maggiori informazioni; lo scopo di questa finta offerta è molto chiaro: ottenere il maggior numero di chiamate per incassare il più possibile;

 – 2) annuncio nel quale è richiesta, per candidarsi all’offerta di lavoro, l’iscrizione a una banca dati a pagamento: anche questa truffa ha lo scopo di ottenere denaro, utilizzando come esca un impiego allettante, ma inesistente; in alcuni casi si illude il malcapitato che le più grandi aziende “peschino” i curricula solo da quella banca dati;

 – 3) annuncio nel quale si richiede un book fotografico a pagamento, in cambio di un lavoro nel mondo della moda o dello spettacolo: false offerte simili sono smascherabili facilmente, in quanto le aziende serie del settore, pur gradendo un book fotografico, non obbligano certamente i candidati ad averne uno a pagamento fatto da loro;

 – 4) impiego per il quale è richiesta la frequenza, prima di essere assunti, di un corso di formazione a pagamento (o con borse di studio che nessuno vincerà mai): anche in questo caso la truffa è finalizzata ad ottenere denaro da chi paga il corso, illuso dalla certezza di un futuro impiego; in alcuni casi non esiste nemmeno il corso di formazione;

-5) vendite porta a porta: non tutte le offerte porta a porta sono una truffa; lo sono quelle in cui si promette al candidato un compenso fisso o un inquadramento come dipendente, mentre, nel concreto, si offre un posto di venditore a domicilio, che “se nulla vende nulla guadagna”;

– 6) call center outbound: la truffa dei call center si basa sullo stesso principio di quella dei venditori porta a porta; si pubblica un annuncio in cui si ricerca personale amministrativo, mentre, di fatto, si cercano operatori che telefonino per vendere prodotti o far sottoscrivere offerte; i compensi sono molto bassi, a fronte di provvigioni che crescono in base all’invendibilità del prodotto;

 – 7) periodo di prova gratuito: la truffa della “prova gratis”, nella maggior parte dei casi, non si evince dagli annunci di lavoro, ma si scopre dopo il colloquio; in pratica, si fa svolgere al candidato un periodo di lavoro gratuito, giustificato come periodo di valutazione per l’affidamento di mansioni di un buon livello (team leader, selezionatore, etc.); l’azienda fa firmare al lavoratore un foglio in cui dichiara che l’attività prestata non costituisce un rapporto lavorativo e che, pertanto, non ha diritto ad alcun compenso; terminata la “prova-truffa”, naturalmente il malcapitato non è idoneo e l’azienda lo ha sfruttato gratis;

 – 8) dalle stelle alle stalle: si tratta di una variante della truffa precedente; in questo caso, al malcapitato inidoneo a ricoprire le mansioni del team leader, del recruiter o dell’addetto all’amministrazione, si propone un posto da venditore o da operatore telefonico outbound (addetto a vendite o promozioni); in questa maniera l’azienda continua a sfruttare semi-gratis il malcapitato, dopo aver abbassato la sua autostima;

9) lavoro a domicilio: anche in questo caso, come per i call center e gli impieghi porta a porta, non tutti gli impieghi a domicilio sono una truffa; lo sono quelli in cui si richiede del denaro in cambio dell’invio di un “kit” per lavorare (ad esempio cornici da confezionare, volantini da imbustare…) o dell’apertura di un account per vendere prodotti; il principio è lo stesso che sostiene il “marketing piramidale”: alla fine a guadagnarci è l’azienda che sta “in cima alla piramide” e gli sventurati che acquistano, sperando a loro volta di vendere, restano a bocca asciutta;

10) guadagnare con i questionari: in questo tipo d’imbroglio, molto diffuso, si illudono i malcapitati con la promessa di alti guadagni in cambio della compilazione di lunghissimi questionari; alla fine chi guadagna è solo l’azienda, che vende i dati personali a caro prezzo.

 Gli imbrogli nelle offerte di lavoro non si esauriscono certamente in questi 10 casi elencati: vi sono ipotesi ancora più gravi, come quella del finto datore che vuole abusare del candidato in cambio della promessa di un impiego, o quella dell’azienda estera inesistente che richiede alte cauzioni per l’alloggio. La fantasia dei criminali, purtroppo, non conosce limiti.


- articolo estratto da "LLpT -la Legge per tutti" - 04/04/2016